Deforestazione importata, Bruxelles pronta a rinviare il regolamento

Approvato quasi due anni fa, il regolamento sulla forestazione importata dovrebbe entrare in vigore il 31 dicembre. Ma in tanti chiedono una revisione.

La Commissione europea probabilmente procrastinerà l’entrata in vigore della nuova normativa sulla deforestazione importata. Ovvero su quella disciplina che punta a porre fine all’importazione di beni consumati nel Vecchio Continente, per la cui produzione si distruggono aree boschive in altre parti del mondo. Si tratta di un corposo elenco, che comprende cacao, carne bovina, caffè, soia, olio di palma. Ma anche prodotti non alimentari, come legami, legnami, caucciù, cuoio, carta, carbone, pneumatici e cosmetici.

L’opposizione alla normativa sulla deforestazione importata

Il testo è stato adottato nel dicembre del 2022, e da subito ha suscitato numerose alzate di scudi, soprattutto da Austria, Italia, Francia, Polonia e Svezia. In particolare, nel corso di un Consiglio europeo agricoltura che si è tenuto il 26 marzo scorso, Vienna aveva avanzato richieste chiare: innanzitutto, una “revisione immediata” del regolamento. E poi, appunto, una nuova data di entrata in vigore, che secondo il governo austriaco dovrebbe essere spostata “considerevolmente” in avanti.

Le pressioni sull’organismo esecutivo di Bruxelles, dunque, sono enormi. E non è evidentemente bastato il congruo periodo di tempo – due anni, appunto – che era stato inizialmente previsto per consentire agli attori del sistema agricolo europeo di conformarsi alla nuova disciplina. Così, secondo una ricostruzione pubblicata da Euractiv, è a questo punto probabile che la Commissione possa cedere.

Pressioni su Bruxelles anche da Indonesia, Malesia, Brasile e Stati Uniti

D’altra parte, a spingere in tale direzione non sono solo le nazioni europee: Indonesia e Malesia, principali produttori mondiali di olio di palma, assieme a Brasile e Stati Uniti, che detengono il primato per quanto riguarda la soia, hanno chiesto allo stesso modo di rivedere il testo. La settimana scorsa, poi, è stata la volta della Germania: un peso massimo dal punto di vista politico: “Se le imprese si preoccupano per la loro sopravvivenza, si tratta di qualcosa che non può essere ignorato a Bruxelles”, ha affermato il ministro tedesco dell’Agricoltura. Aggiungendo che “le catene d’approvvigionamento rischiano di crollare, con conseguenze per l’economia della Germania e dell’Europa, per i piccoli coltivatori dei paesi terzi e per i consumatori”.

Alberi abbattuti in Amazzonia
Alberi abbattuti in Amazzonia © Alberi abbattuti in Amazzonia/iStock/Getty Images

A livello comunitario, Euractiv riferisce la posizione dell’euro deputato e portavoce per l’agricoltura del Partito popolare europeo, Herbert Dorfmann, secondo il quale la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, “ha incontrato il gruppo Ppe e ha annunciato che proporrà di procrastinare il testo o un’altra soluzione temporanea nei prossimi giorni”. Ciò in quanto “nella situazione attuale, l’entrata in vigore del regolamento sulla deforestazione importata è impossibile”. I conservatori europei, d’altra parte, non hanno esitato a definirlo “un mostro burocratico”.

Per il Ppe è “un mostro burocratico”. Socialisti e Verdi: si rispetti il calendario

A poco è valsa la richiesta, diametralmente opposta, giunta dai socialisti, che hanno chiesto che venga mantenuto il calendario previsto. Stessa posizione da parte dei Verdi, che hanno a tal proposito inviato una lettera a von der Leyen, nonché dall’eurodepuato Renew Pascal Canfin, che coordina la commissione Ambiente (Envi).

Proprio tra i parlamentari ecologisti si grida allo scandalo: di fatto, in caso di ritardo nell’entrata in vigore del testo, per ragioni meramente politiche si deciderebbe di non applicare una normativa che ha concluso il proprio iter di approvazione. Nonostante la sua necessità sia evidente: basta analizzare i dati relativi alla deforestazione in Amazzonia, così come negli altri “polmoni verdi” del Pianeta, per rendersene conto. Tanto più che una regolamentazione stringente consentirebbe di limitare il problema alle sole sacche di illegalità, che in ogni caso rimarrebbero e contro le quali si potrebbe concentrare l’intervento delle autorità.

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