Alla fine Google non è più un’azienda carbon neutral

A causa dei consumi energetici legati alle AI, Google ci ripensa e abbandona l’obiettivo di diventare carbon neutral.

  • A causa delle elevate richieste energetiche delle tecnologie IA, Google ha smesso di definirsi carbon neutral, puntando alla vera neutralità entro il 2030.
  • Il consumo energetico di Google è aumentato del 48% dal 2019 a causa delle intelligenze artificiali, influenzando anche aziende come Microsoft.
  • Google intende ridurre direttamente le emissioni di CO2, abbandonando le compensazioni di carbonio, nonostante i precedenti investimenti in sostenibilità.

Nel giro di poche settimane il settore big tech ha completamente dimenticato almeno un decennio di promesse – e investimenti – nella sostenibilità, sacrificando molto nel nome delle intelligenze artificiali generative. Nelle scorse settimane abbiamo raccontato gli enormi consumi elettrici – e idrici – legati ai data center, i centri di elaborazione dati essenziali per l’infrastruttura web ma particolarmente messi in difficoltà proprio dalle IA. Per generare una risposta, specie se si tratta di un’immagine o un video, infatti, ChatGpt, MidJourney, Sona e altri prodotti simili hanno bisogno di tantissimo potere computazionale, e quindi d’energia.

Google smette di definirsi “carbon neutral”

Risultato: secondo Bloomberg, Google ha smesso di definirsi un’azienda “carbon neutral”, promettendo di diventarlo, o meglio di tornare a esserlo, entro il 2030. Che è successo? È a partire dal 2007 che Google vanta la neutralità carbonica, ovvero l’equilibrio tra le emissioni di carbonio prodotte e quelle che la stessa azienda ha in qualche modo ridotto, evitato o sequestrato. Nello specifico, Google ci è riuscita grazie alla compensazione della CO2 (carbon offset), una serie di investimenti atti a controbilanciare le emissioni prodotte, ad esempio piantando alberi e foreste. Nel solo 2022, Google compensò in questi modi circa tre milioni di tonnellate di CO2.

Google ha annunciato il cambiamento precisando di essere “in linea con un mercato in fase di trasformazione, con un ecosistema di rimozione del carbonio più sviluppato e che abbiamo contribuito a catalizzare”. Di conseguenza, “miriamo a evitare o ridurre le emissioni di gas serra per raggiungere il nostro obiettivo assoluto di riduzione delle emissioni”.

Insomma, Google non punterà più sul carbon offset per diminuire direttamente le emissioni fatte dal gruppo. Sembra una buona notizia – e il comunicato aziendale fa di tutto per inquadrarla come tale – ma i fatti parlano chiaro e sembrano raccontare un’altra storia: Google consuma oggi il 48 per cento di energia in più del 2019 e nel corso di questi cinque anni i suoi consumi totali sono raddoppiati. Lo stesso vale per Microsoft, altra azienda che ha investito pesantemente nelle AI generative, anche grazie a una forte alleanza con OpenAI, che ha visto i suoi consumi aumentare di circa il 30 per cento, sempre secondo Bloomberg.

Cosa faranno ora le altre big tech?

A rendere questi dati ancora più tragici c’è il ruolo avuto da Google nel “catalizzare” (per usare i termini dell’azienda stessa) l’ecosistema di aziende, servizi e tecnologie necessari alla compensazione delle emissioni di gas serra, ma anche ai molti investimenti fatti in energie sostenibili, riciclo dell’acqua e persino tecnologie più controverse come la cattura della CO2 dall’atmosfera.

Nel 2022, infatti, il gruppo investì 200 milioni di dollari su un fondo che si occupava proprio di questo. Nel report relativo all’anno in corso, Google ha dichiarato di aver contratto crediti per circa 60mila tonnellate di emissioni da tre aziende che si occupano di cattura del carbonio, una tecnologia ancora sperimentale e in fase di sviluppo, tanto che questi crediti saranno consegnati entro il 2028. Comunque sia, comunque, si tratta di una minuscola parte delle emissioni prodotte da Google, che in totale superano le 14 milioni di tonnellate. Nonostante questi numeri, però, a quanto pare Google ha deciso di non avere necessità di essere carbon neutral: meglio puntare sui chatbot.

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