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Raee. In Europa gestiti illegalmente o in maniera scorretta
Solo il 35 per cento dei Raee dismessi in Europa è gestito in maniera ambientalmente corretta. Il restante passa attraverso canali illegali e senza controllo. Un danno ambientale, economico e sociale.
C’è bisogno di fare di più. Mentre l’industria dell’elettronica e degli elettrodomestici immette nel mercato nuovi prodotti, quelli obsoleti o non funzionanti o semplicemente “fuori stagione”, si trasformano in Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). E qua nasce il problema: in Europa nel 2012 solo il 35 per cento, a fronte di un totale di 9,5 milioni, è stato raccolto dai sistemi ufficiali di riciclo. L’altro 65 per cento (circa 6,2 milioni di tonnellate), è stato esportato oppure riciclato in modo ambientalmente scorretto o semplicemente gettato tra i rifiuti indifferenziati.
È quanto emerge dal rapporto “Countering Weee Illegal Trade (Cwit)”, una ricerca durata due anni e finanziata dalla Comunità europea e realizzato da Interpol, United nations university (Unu), gli istituti United nations interregional crime and justice research e Compliance & Risks, il Weee Forum, l’associazione Cross-Border Research e la società Zanasi & Partners.
Una ricerca corposa, che ha mostrato il tallone d’achille del sistema di raccolta dei rifiuti elettronici all’interno del Vecchio continente, ma anche fuori dei confini dell’Unione. “I Raee sono la tipologia di rifiuti con il più alto tasso di crescita in tutto il mondo. Il peso dei Raee che ogni anno in Europa sono gestiti in modo ambientalmente non corretto è pari a quello di un muro di mattoni alto 10 metri che va da Oslo fino in fondo all’Italia”, spiega Pascal Leroy, segretario generale del Weee Forum. “È indispensabile estrarre dai Raee e riciclare nel modo più intenso possibile tutti i metalli e tutti i componenti economicamente interessanti, tra cui le materie prime critiche”.
Ma sono le 4,7 milioni di tonnellate non gestite in modo ambientalmente corretto o commercializzate in modo illegale, a destare l’attenzione maggiore. Lo studio sottolinea che “i sistemi efficaci di monitoraggio delle performance di rimozione delle sostanze inquinanti e adeguati standard di trattamento dei Raee non siano pienamente utilizzati neppure negli Stati europei più avanzati dal punto di vista del controllo ambientale”.
Questo si traduce principalmente in tre aspetti: una perdita economica, stimata in 800 e 1.700 milioni di euro all’anno. Un aumento dei potenziali danni alla salute umana dovuti a sostanze inquinanti contenute nelle aparrecchiature come piombo, mercurio, cadmio, cromo e i cfc (clorofluocarburi). Terzo un aumento dei reati come il trattamento inadeguato, i furti, il contrabbando o le false dichiarazioni sui carichi trasportati.
“Visto che può generare profitti e che oggi viene difficilmente scoperta, questa forma di commercio illegale rischia di essere molto sfruttata”, dichiara David Higgins, capo del Environmental Security Sub-Directorate di Interpol. “I Governi nazionali dovrebbero prevenire questo rischio adottando un mix bilanciato di sanzioni amministrative e penali, che riflettano l’entità sia dei profitti illeciti sia dei danni ambientali e sociali provocati”.
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