La rinascita delle zone umide di Colombo, in Sri Lanka

La capitale dello Sri Lanka ha sottratto le plaudi che la circondano ai rifiuti, grazie agli sforzi delle istituzioni e della comunità.

A Colombo, capitale dello Sri Lanka, il contributo di tutta la comunità sta riportando la vita nelle zone umide della città, per lungo tempo soffocate dai rifiuti di plastica. Per secoli, la palude di Thalangama è stata parte integrante delle attività socioeconomiche della capitale, oltre a rivestire un ruolo di fondamentale importanza nella protezione di insediamenti e campi agricoli dalle inondazioni. Ma l’espansione urbana e i piani iniqui di rilocazione delle persone più vulnerabili l’hanno resa piano piano una vera e propria discarica di plastica a cielo aperto, con conseguenze devastanti per la sicurezza ambientale e sociale. Un passato doloroso a cui oggi gli abitanti contrappongono un’alternativa comunitaria.

Una protezione naturale contro le inondazioni

Nel sudest di Colombo, il lago di Thalangama nasconde le sue paludi oltre alti canneti. In questa zona sorgono numerose risaie e gli agricoltori si muovono fra i canali a bordo di piccole imbarcazioni. Questa zona umida è tornata ad essere una risorsa dal valore inestimabile per chi vive ai margini della città, rappresentando un baluardo di biodiversità e al contempo una difesa naturale dalle inondazioni che minacciano l’abitato nella stagione dei monsoni. L’importanza della cintura di zone umide che corrono attorno a Colombo è chiara: sorgendo nei pressi del bacino fluviale del fiume Kelani è spesso minacciata dalle inondazioni. Persino il nome originario della città – Colombo fu introdotto dai portoghesi nel Sedicesimo secolo – deriva dal singalese classico kolon thota, che significa “porto sul fiume Kelani”.

Le paludi consentono al 40 per cento delle acque alluvionali di defluire, fungendo da “cuscinetto” per evitare di mandare campi e abitazioni sott’acqua. Secondo uno studio del 2024, assorbono oltre 62 millimetri di acqua alluvionale in più rispetto alle aree edificate di Colombo. Nonostante gli sforzi collettivi per pulire e ripristinare alcune zone umide della città, la perdita complessiva di zone umide significa che Colombo sta diventando più vulnerabile alle inondazioni, osserva lo studio del 2024.Inoltre, assorbono il carbonio e mitigano gli impatti dei cambiamenti climatici regolando le temperature.

Un bene naturale consegnato ai rifiuti sin dal periodo coloniale

Se nell’antichità la simbiosi tra l’essere umano e questi ecosistemi appariva intatta, con la colonizzazione dell’isola da parte del Regno Unito questo legame si è spezzato. Con la crescita delle attività manifatturiere legate soprattutto al settore tessile e alla produzione di cotone da destinare verso la madrepatria e ovunque nel mondo, molte zone umide vennero acquistate per far spazio ad abitazioni e attività commerciali. Con l’indipendenza dello Sri Lanka – allora chiamata Ceylon – nel 1948, si inizio a utilizzare nuove aree paludose come discariche per i rifiuti, creando un danno agli ecosistemi e di salute pubblica. In questo contesto, anche la funzione di difesa dalle inondazioni è venuta meno: per esempio, la palude di Kolonnawa, che riveste un ruolo fondamentale nel proteggere Colombo dalle inondazioni, perso il 65 per cento della sua superficie dal 1800 a oggi.

La diffusione smodata dei rifiuti – specie quelli di plastica – ha poi alterato le proprietà del suolo, ora meno capace di assorbire acqua piovana. Le province occidentali dello Sri Lanka sono quelle da cui proviene circa 60 per cento dei rifiuti giornalieri: basti pensare che, solo la municipalità di Colombo, raccoglie circa 700-800 tonnellate di rifiuti solidi ogni giorno. A questo si deve aggiungere la plastica che lo Sri Lanka importa dall’estero per essere smaltita. Il culmine di questo processo di degrado è arrivato nel 2010, quando una serie di inondazioni hanno colpito quasi 700.000 persone, sommergendo campi, case e perfino il Parlamento.

Sri Lnaka
Un uomo sommerso fino alla vita durante le inondazioni del 2010 © Photo by Lakruwan Wanniarachhchi/ Afp via Getty Images

Le inondazioni del 2010 la Convenzione di Ramsar

Gli eventi del 2010 hanno rappresentato un punto di svolta di cui oggi gli specchi d’acqua stagnante di Thalangama rappresentano un esempio virtuoso. Nel 2018 Colombo ha aderito alla Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale, conosciuta anche come Convenzione di Ramsar, che rappresenta uno strumento internazionale per la salvaguardia delle zone umide nel mondo. Anche l’Italia vi partecipa includendo oltre 50 siti nazionali, tra cui le valli di Comacchio in Veneto e lo stagno di Cabras in Sardegna. E così circa 15 anni fa è nato il Thalangama Wetland Watch, un ambizioso progetto comunitario che mira a tenere pulito il complesso di zone umide attraverso una serie di attività come la raccolta differenziata e la pulizia periodica dei canali.

All’intraprendenza della società civile si è aggiunta l’iniziativa pubblica. Nel 2016 il governo cittadino ha rivoluzionato la gestione delle zone umide dell’area metropolitana, integrando questi ecosistemi nei progetti di pianificazioni urbana al fine di ripristinarne la funzione originaria e favorirne la conservazione, eliminando le tante specie invasive presenti. Questi luoghi sono stati incorporati nelle infrastrutture urbane, costruendo attorno ad essi piste ciclabili e aree per il tempo libero.

Oltre al loro ruolo nel prevenire le inondazioni, l’attivismo rifiorito in queste zone sta cercando di trasmetterne un’immagine più completa che ne contempli, per esempio, anche il ruolo fondamentale nel far fronte alla carenza di cibo nella città. Queste acque placide e apparentemente immobili possono essere utilizzate per provvedere all’irrigazione dei campi, oltre a rappresentare un habitat ideale per la riproduzione di alcune specie di pesci.

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