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Sono noti i libri di Umberto Eco, le sue qualifiche, i suoi premi. Filosofo, scrittore, saggista, ricercatore, professore universitario, linguista e semiologo. Esperto di comunicazione, linguistica, semiotica ed estetica. Laureato in filosofia, detentore di trentotto lauree ad honorem. Membro dell’accademia dei Lincei, dell’Académie Universelle des Cultures di Parigi, dell’Accademia della Letteratura Russa e dell’American Academy
Sono noti i libri di Umberto Eco, le sue qualifiche, i suoi premi. Filosofo, scrittore, saggista, ricercatore, professore universitario, linguista e semiologo. Esperto di comunicazione, linguistica, semiotica ed estetica. Laureato in filosofia, detentore di trentotto lauree ad honorem. Membro dell’accademia dei Lincei, dell’Académie Universelle des Cultures di Parigi, dell’Accademia della Letteratura Russa e dell’American Academy of Arts and Letters.
Eco è stato dal 1961 al 2007 professore universitario in diverse università italiane, francesi e statunitensi. Dal 1989 era presidente dell’International Center for Semiotic and Cognitive Studies, e dal 1994 presidente onorario dell’International Association for Semiotic Studies. Dal 1999 era inoltre presidente della Scuola superiore di Studi Umanistici presso l’Università di Bologna.
Vincitore del Premio Strega e del Prix Médicis per “Il nome della Rosa” e del Premio Bancarella per “Il pendolo di Foucault”. Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura, Croce d’Oro del Dodecanneso e dell’arte ed Ufficiale della Legion d’onore. Editorialista per giornali, riviste ed enciclopedie, per il Corriere della Sera, L’Espresso (alla cui fondazione ha contribuito) e Wikipedia, critico letterario e condirettore editoriale alla Bompiani per sedici anni (dal 1959 al 1975).
Ha collaborato con l’Unesco, con la Triennale di Milano, con l’Expo 1967-Montreal, con la Fondation Européenne de la Culture e con molte altre organizzazioni.
A margine di un curriculum così ricco e magnifico, abbiamo scontornato alcune prese di posizione un po’ meno note, ma sempre stuzzicanti e ricchissime di spunti intellettuali.
Umberto Eco diventò ateo studiando le opere di un santo del 13esimo secolo, San Tommaso d’Aquino. Sulla sua estetica scrisse la sua tesi di laurea, poi ampliata e riveduta nel suo saggio Il problema estetico in San Tommaso (1956), primo di una lunga seria di libri sulla cultura medievale, nonché il primo in assoluto. Insomma, passò dalla militanza nell’Azione Cattolica all’ateismo “grazie” a San Tommaso. “Si potrebbe dire che mi ha miracolosamente curato dalla mia fede” scherzò Eco durante un’intervista del 2005 al Time.
Dal 1954 e per cinque anni è in Rai come funzionario, con il compito di svecchiare la televisione di Stato, ancora troppo legata all’Eiar. Forse in questo periodo nasce il suo interesse per i mass media, su cui scrive diversi articoli successivamente raccolti in due volumi Diario minimo e Apocalittici e integrati. In quel periodo, nota che lo sforzo educativo della tv risentiva degli interessi dei vari dirigenti: “Vi sono settori in cui una certa politica culturale non contrasta con le esigenze di chi controlla il mezzo. Per questo in Italia abbiamo assistito alla lodevole divulgazione di classici teatrali e del melodramma e a un innalzamento del livello della musica leggera, mentre vengono fatti scarsi tentativi per migliorare le conoscenze storiche e sociali del pubblico o per promuovere tendenze alla libera discussione”.
Il nome della rosa è stato pubblicato da Bompiani nel settembre del 1980, che ha venduto oltre 30 milioni di copie nel mondo, di cui 7 milioni in Italia, ed è stato tradotto in 49 paesi. Sei anni dopo è diventato un film per la regia di Jean-Jacques Annaud con nel cast Sean Connery, Christian Slater, F. Murray Abrahams e Ron Perlman, e che ha incassato circa 80 milioni di dollari nel mondo e ha vinto tantissimi premi, tra cui quattro David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Bafta e un Cesar. Il film di Annaud non fu un calco, del libro fedele, bensì un “tradimento consensuale” del libro, e lo stesso Eco, raccontava il regista, l’aveva spinto per tutto il film a tradire “bene il libro, perché per adattare bene bisogna tradire bene”.
Nel saggio “The Myth of Superman” (Role of the Reader, 1979), Umberto Eco esplora le caratteristiche del personaggio nel contesto della società americana, definendolo come un guardiano della legge, teso al mantenimento dello status quo piuttosto che al miglioramento delle condizioni sociali.
Umberto Eco è sempre stato spiazzante. Fino ad esser quasi giocoso. Secondo lui, il mondo è stato salvato dai fagioli, che insieme a lenticchie e piselli hanno dato modo alle masse impoverite del Medio Evo di sopravvivere agli inverni di carestia e di rifornirsi di proteine preziose per affrontare le malattie e la malnutrizione di quei secoli. “Tutti direbbero che la maggiore invenzione del millennio è la televisione o il microchip – dichiarò a Bloomberg – perché crediamo che i cambiamenti delle nostre vite dipendono dalle macchine più complesse. Invece, il fatto è che noi siamo ancora qui grazie ai fagioli”.
“Sospetto che non ci sia alcun studioso a cui non piaccia la tv – disse candidamente a Paris Review nel 2008 – solo che io sono l’unico che lo confessa. Certo non sono un ghiottone che trangugia ogni cosa”. Non guardava tv spazzatura, ma aveva un debole per le serie drammatiche. La sua preferita, Starsky e Hutch. Ma anche CSI, Miami Vice, ER e il Tenente Colombo.
Ne Il pendolo di Foucalt c’è una scena in cui un personaggio, Belbo, suona la tromba in un cimitero. È quasi autobiografica. “Quando avevo dodici o tredici anni – disse a Paris Review – ero un buon suonatore. Ora non lo sono più. Comunque, provo a suonare quasi ogni giorno. Il motivo è che ritorno alla mia infanzia. Per me, la tromba è la prova del ragazzo che sono stato. Non provo niente per il violino, ma quando vedo una tromba sento il mondo che mi scorre nelle vene”.
Nel libro La misteriosa fiamma della regina Loana, pubblicato nel 2004, Umberto Eco usa vari elementi per illustrare la lotta di Giambattista Bodoni, detto Yambo, contro la perdita della memoria. Usando spesso citazioni e riferimenti alla nebbia. “A parte il fatto che sono nato in un paese nebbioso, Alessandria – così spiegava Eco a Harcourt Books – la mia memoria è colma di visioni di nebbia, e la adoro. Al punto tale che ho collezionato un’antologia di pagine di letteratura sulla nebbia, da Omero ai giorni nostri. La nebbia è un’inevitabile metafora della perdita della memoria”.
A più riprese Umberto Eco ha ribadito che sia i giornali cartacei, sia i libri, avrebbero resistito all’èra digitale. Diceva, come battuta, che con il computer, una volta lette le notizie, non si può avvolgere il pesce, né usarlo per scacciare le mosche. Il suo ultimo tweet, del 21 novembre 2015, recita: “c’è un ritorno al cartaceo, il giornale non sparirà almeno per gli anni che mi è consentito di vivere”. La posizione è ben espressa in un’intervista a Goodreads: “Noi affermiamo che il libro, il libro di carta, è ancora il modo migliore per veicolare informazioni. Sono un grande utilizzatore di computer e iPad, e penso che siano utilissimi per molti scopi, ma che non potranno mai essere sostituti del libro. Per lo stesso motivo per cui la fotografia non ha rimpiazzato l’arte, la pittura”.
In diverse interviste a Umberto Eco emerge un’opinione altalenante sul libro che lo lanciò come romanziere. “A volte mi colgo a pensare che odio Il nome della rosa – disse al Guardian nel 2011 – perché i libri successivi dovrebbero esser migliori. Ma succede così a molti scrittori. Gabriel García Márquez ha potuto scrivere 50 libri, ma sarà sempre ricordato per Cien años de soledad (Cento anni di solitudine). In più, ogni volta che pubblico un nuovo libro, le vendite di Il nome della rosa tornano su. Qual è la reazione? ‘Ah, un nuovo libro di Eco. Ma aspetta, non ho ancora letto Il nome della rosa’. Che, perdipiù, costa meno perché è in paperback”.
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