Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Gli Usa bombardano un ospedale di Msf. L’Onu: “Crimine di guerra”
Un centro afghano di Medici senza frontiere è stato raso al suolo da un bombardamento, probabilmente americano. Il racconto straziante di un infermiere.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre è stata segnata da un evento che ha scosso il mondo intero. Nella città afgana di Kunduz un bombardamento aereo ha distrutto un ospedale gestito da Medici senza frontiere, provocando la morte di ventidue persone. Secondo l’associazione internazionale premio Nobel per la Pace nel 1999, le bombe sarebbero state sganciate dall’aviazione americana. Dunque del Paese del presidente Barack Obama, anche lui insignito del Nobel per la Pace, nel 2009.
Né Obama stesso, né il Pentagono, tuttavia, hanno parlato in modo esplicito di un coinvolgimento dell’esercito Usa: l’episodio è stato definito dalla Casa Bianca “un tragico incidente”. “A nome del popolo americano – ha spiegato il presidente, senza entrare nel merito – esprimo le mie più profonde condoglianze alle vittime”. La Difesa statunitense ha quindi affidato il proprio commento alla triste formula dei “danni collaterali” (parole del colonnello Brian Tribus, portavoce delle forze Usa in Afghanistan), relativi ad un’operazione anti-talebani condotta nelle vicinanze.
Eppure, secondo Msf, il bombardamento “è durato 45 minuti, e non sembrava affatto casuale: un aereo ha preso di mira con numerosi lanci lo stesso edificio”. Una dinamica che lascerebbe poco spazio alle interpretazioni, tanto da aver suscitato l’indignazione dell’Onu, che ha già evocato un possibile “crimine di guerra”. Al contempo, in un comunicato pubblicato nella serata del 4 ottobre, il direttore generale di Msf Christopher Stokes ha stigmatizzato le dichiarazioni rilasciate dalle autorità afgane, secondo le quali alcuni talebani si sarebbero nascosti all’interno dell’ospedale (ragione che avrebbe portato al bombardamento): “Queste dichiarazioni confermano che un ospedale funzionante è stato intenzionalmente raso al suolo. Non si tratta dunque di danni collaterali”.
Il giornale francese L’Obs ha raggiunto Lajos Zoltan Jecs, un infermiere che era sul posto al momento del bombardamento. Il suo racconto è straziante: “Ero pietrificato, non riuscivo neppure ad aiutare un collega ferito. Dopo alcuni minuti, siamo usciti dalla ‘safe room’ nella quale eravamo rifugiati e ci siamo diretti verso uno degli edifici incendiati. Non so con quali parole spiegare ciò che ho visto: all’unità di terapia intensiva, sei pazienti stavano bruciando vivi sui loro letti. Abbiamo operato d’urgenza uno dei nostri medici, ma non ce l’ha fatta neppure lui”.
Il segretario alla Difesa americana, Ashton Carter, ha promesso un’inchiesta esaustiva sull’accaduto: tra qualche mese arriveranno le conclusioni. Nel frattempo, ciò che resta è la cronaca di un disastro. Il centro di cure è stato evacuato dalla Ong, che ne ha annunciato la chiusura. Le strutture, infatti, sono ormai “impraticabili”, e i pazienti più gravi sono stati trasferiti. Alle spalle dei medici volontari che in queste ore stanno lasciando Kunduz, resta solo un cumulo di macerie.
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