Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
Brasile, proprietari terrieri attaccano una tribù indigena a colpi di machete
La tribù Gamela, in Brasile, è stata attaccata da 200 uomini legati ai grandi proprietari terrieri locali. “Ad un indiano sono state tagliate le mani”.
Un attacco violento, effettuato da più di 200 uomini legati ad alcuni proprietari terrieri locali. Armati di machete e di fucili, hanno accerchiato e aggredito la tribù Gamela, nel Maranhao, stato nel nordest del Brasile. Il bilancio è di tredici feriti, di cui almeno tre in gravi condizioni: secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, ad uno degli indigeni sono state amputate entrambe le mani.
La tribù Gamela reclama da decenni il diritto alla terra
A denunciare l’accaduto è stato il Congresso missionario indiano (Cimi), un’organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo legata alla Chiesa cattolica. I gamela erano tornati da due anni alcune terre dalle quali erano stati espulsi dai grandi proprietari terrieri del Brasile negli anni Settanta, con l’obiettivo di operare programmi di deforestazione finalizzati a lasciare spazio ai pascoli.
Au Brésil, une marche de 3000 personnes indigènes transportant des cercueils pour symboliser le génocide des peuples dans l’histoire. #ATL pic.twitter.com/8T9Ok4Or18
— Greenpeace France (@greenpeacefr) 26 aprile 2017
La battaglia delle popolazioni indigene per il riconoscimento del loro diritto alla terra è d’altra parte costellata di violenze, soprusi e crimini. Come quelli raccontati da Diana Rios, giovane abitante di un villaggio sperduto al confine tra il Perù e il Brasile il cui padre, Jorge, è stato ucciso proprio a causa del suo impegno per la salvaguardia della foresta nelle zone abitate dalla Comunità Ashéninka di Alto Tamaya – Saweto.
Hacked with machetes – the horrendous fate of Brazilian Indians brave enough to stand up for their land rights: https://t.co/aSL0QAkUjP pic.twitter.com/OgYUNtp2Co — Survival (@Survival) 4 maggio 2017
L’obiettivo degli aggressori è sempre identico: intimidire le popolazioni autoctone e indurle a fuggire, abbandonando le terre e lasciando mano libera alla deforestazione perpetrata dall’agrobusiness. Per questo, alla fine di aprile centinaia di indiani rappresentanti di tutte le tribù del Brasile si erano dati appuntamento per manifestare di fronte al parlamento, nella capitale Brasilia. Come riportato da Greenpeace, la reazione delle forze dell’ordine è stata dura, con lanci di lacrimogeni per disperdere i partecipanti.
In photos: Indigenous Peoples’ protest in Brazil ends in police brutality https://t.co/X6p8fp9KxP pic.twitter.com/DbNixAlWrz
— Greenpeace (@Greenpeace) 5 maggio 2017
La condanna delle Nazioni Unite: “Aggressori in Brasile non siano impuniti”
Giovedì 4 maggio le Nazioni Unite hanno condannato il “grave attacco” subito dalla tribù Gamela. “Le notizie giunte dal Maranhao ci preoccupano – ha affermato un comunicato dell’ufficio locale dell’Onu -. Esigiamo da parte delle autorità un’inchiesta rigorosa e tolleranza zero di fronte alla gravità delle violenze subite dagli indiani e all’impunità degli aggressori. Siamo solidali con le vittime e pronti a sostenere le istituzioni brasiliani nella lotta al razzismo, alla discriminazione etnica, all’odio e alle violazioni dei diritti delle popolazioni autoctone”.
Il ministro della Giustizia del Brasile, Osmar Serraglio, ha promesso di avviare un processo di delimitazione delle terre. Nel frattempo, nelle regioni più remote della nazione latinoamericana si continua però a morire: secondo il Cimi solamente nel 2015 il numero di indiani assassinati è stato pari a 137. Cifra che sale a quota 891 prendendo in considerazioni i casi noti dal 2003.
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