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Una storia di scarsa conoscenza delle leggi nazionali, totale impunità per i reati di bracconaggio e l’evidente aumento del turismo venatorio internazionale.
Il piano che prevede l’uccisione di “un numero di lupi non superiore al 5% del numero complessivo in Italia” è stato approvato da stato e regioni, in attesa dell’approvazione definitiva, fissata per il 2 febbraio.
La condanna a morte per il lupo è stata firmata. Si tratta di un provvedimento ampiamente annunciato, ma questo non smorza certo la delusione per una decisione che non sembra avere alcun fondamento scientifico. Il piano consente l’abbattimento dei lupi, interrompendo i 46 anni di protezione assoluta che hanno permesso a questo carismatico animale di scongiurare il pericolo dell’estinzione che negli anni Settanta sembrava imminente. In Italia fino al 1971 il lupo era cacciabile in qualsiasi stagione e con ogni mezzo, questa caccia indiscriminata rischiò di cancellare per sempre il lupo appenninico (Canis lupus italicus) dalla penisola. Dopo essere stato protagonista di una spettacolare ripresa demografica oggi il lupo rischia nuovamente di essere cacciato legalmente.
Nel corso della Conferenza stato-regioni, svoltasi nel pomeriggio del 24 gennaio, è stato approvato in sede tecnica il Piano di conservazione del lupo del ministero dell’Ambiente, programma che si propone di essere il “documento di riferimento per la conservazione e gestione della specie in tutto il suo areale e per tutte le sue implicazioni economiche e sociali”. Per l’approvazione politica, quella definitiva, occorre aspettare il 2 febbraio. Il piano, alla cui elaborazione avrebbero partecipato addirittura settanta esperti, prevede varie contromisure per mitigare il conflitto tra uomo e lupo e tutelare gli allevatori, dall’uso di recinzioni speciali ai rimborsi. Naturalmente la misura più discussa e contestata è quella che prevede l’abbattimento controllato di un numero di lupi non superiore al 5 per cento del numero complessivo in Italia, previo un piano regionale approvato dal ministero dell’Ambiente.
Considerato che non si sa neppure con precisione quanti lupi ci siano in Italia, diventa difficile stabilire quanti esemplari possano essere effettivamente abbattuti senza superare il 5 per cento stabilito. Non sono chiare neppure le modalità con le quali i predatori verrebbero uccisi, questi animali vivono in branchi ben strutturati e la loro disgregazione sarebbe estremamente dannosa e, paradossalmente, potrebbe costringere i lupi rimasti privi di branco ad andare a caccia di bestiame. “Per i lupi non sono possibili abbattimenti realmente selettivi e gli effetti di tali abbattimenti sono sempre imprevedibili – si legge in una nota congiunta delle associazioni ambientaliste Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Lndc. – I comportamenti predatori non diminuirebbero ma potrebbero invece aggravarsi, come successo in altri paesi. Infine, la misura degli abbattimenti non avrebbe alcun effetto positivo sulle tensioni sociali e anzi potrebbe aggravarle, con la richiesta di nuovi e continui abbattimenti e una maggiore tolleranza verso atti di bracconaggio e di giustizia privata”.
La conferma che la caccia legalizzata non comporta la diminuzione del bracconaggio, anzi, peggiora ulteriormente la situazione, è arrivata da uno studio svedese condotto nel 2015 negli Stati Uniti. Secondo i ricercatori “autorizzare la caccia al lupo, anche se per cercare di mitigare i conflitti tra uomo e predatori e di conseguenza ridurre il bracconaggio, sembra svalutare in realtà la vita di quella specie agli occhi della gente, portando ad un incremento del bracconaggio”. Dallo studio è inoltre emerso che i tassi di crescita delle popolazioni di lupo sono diminuiti, passando dal 16 per cento al 12 per cento, quando è stato consentito l’abbattimento, mentre non ci sono prove scientifiche che l’abbattimento “controllato” riduca la caccia di frodo.
In Italia la causa principale di mortalità del lupo è il bracconaggio e, secondo il Wwf, la caccia a questi timidi predatori è ormai diffusa anche nei parchi. Ogni anno muoiono oltre trecento lupi a causa dell’uomo, uno su due per mano dei bracconieri.
Il lupo è senza dubbio l’animale più discusso d’Italia e suscita reazioni contrapposte, o lo ami o lo odi (secondo Luigi Boitani perché è troppo simile a noi). Tra quelli che lo odiano ci sono allevatori (che spesso credono erroneamente che il predatore sia stato reintrodotto in Italia), per i quali il lupo può rappresentare una minaccia dal punto di vista economico (anche se non sempre vengono adottate le giuste contromisure, dal tipo di pastorizia fino all’utilizzo di apposite recinzioni, dal controllo del territorio fino all’allevamento di cani da pastore, che possono essere un elemento di contrasto naturale alla presenza del lupo), e cacciatori, questi ultimi vedono il lupo come un competitore per la selvaggina e i conflitti con i cacciatori di cinghiale rappresentano una delle principali ragioni di tensione sociale sulla gestione del lupo.
“Nessuno vuole ammazzare i lupi, vogliamo una normativa che permetta di conservare la biodiversità e che permetta la convivenza fra i lupi e gli agricoltori – ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. – Il problema del lupo è ormai evidente, mi rifiuto di affrontarlo solo con la pancia, voglio affrontarlo in un modo scientifico”. Quello che invece contestano le associazioni conservazioniste è proprio la mancanza di logica nel piano stilato, la cui proposta di abbattimento viene vista come una sorta di contentino ad allevatori e cacciatori. Come ci ha ricordato Rossella Muroni, presidente di Legambiente, in una recente intervista, “dobbiamo cercare di raggiungere una visione meno antropocentrica e provare a convivere con le altre specie animali”, lupo compreso.
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