Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Il campo profughi di Zaatari. Dove 80mila siriani sognano di tornare a casa
Non lontano dal confine con la Siria, il campo profughi di Zaatari è diventato ormai una delle città più grandi della Giordania. Dove si vive di speranza.
Zaatari è una delle più popolate città della Giordania. Una città senza strade, senza palazzi, senza mezzi di trasporto: è il campo profughi più grande del paese, abitato da decine di migliaia di profughi siriani, costretti a lasciare la loro terra da quando nella nazione governata da Bashar al Assad è scoppiata una guerra lunga e sanguinosa.
Un’immensa distesa di prefabbricati e tende, grigi e beige, che quasi si confondono con l’immenso deserto che li circonda. Un video pubblicato dalla Bbc inquadra il campo dall’alto: un mare di miseria intervallato solamente dal colore ocra della sabbia, perduto in mezzo al nulla.
La casa di ottantamila rifugiati
Oggi è la casa di oltre ottantamila rifugiati. E ogni giorno ne arrivano duemila. Una “prigione a cielo aperto, nella quale – a furia di aspettare – gli abitanti, provenienti per la maggior parte dalla città di Daraa, stanno perdendo la speranza”, come raccontato dall’emittente francese France24.
Il campo fu aperto il 28 luglio del 2012. Mantenerlo, oggi costa, secondo quanto riportato dalla Bbc, circa 500 mila dollari al giorno: “Vi vengono distribuiti 500 mila pezzi di pane e 4 milioni di litri di acqua ogni giorno”. Tra le baracche sono sorti piccoli negozi, barbieri, bazar, un supermarket. Perfino un negozio per affittare vestiti da sposa, a 20 dollari per una giornata. Ma ciò non basta a rendere la vita normale.
Alcuni profughi vivono qui da quasi tre anni
Zaatari dipende infatti interamente dagli aiuti umanitari e dal lavoro delle organizzazioni non governative. Che faticano a mantenere delle condizioni accettabili, soprattutto quando, d’estate, la temperatura sale fino a 42 gradi centigradi, rendendo le tende simili a dei forni.
Un’inchiesta di Al Jazeera, pubblicata nell’ottobre del 2015, racconta di persone che abitano nel campo da quasi tre anni ormai. Hamdan, arrivato con la sua famiglia – nove persone in tutto – da Khirbet Ghazalah, nella Siria meridionale, ricorda: “Pensavo che saremmo rimasti un mese, due al massimo. In attesa che la situazione si calmasse”. Invece di mesi ne sono passati trenta. Vissuti in diciannove metri quadrati, assieme agli altri otto componenti della sua famiglia.
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