Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Caterina Sarfatti. Il ruolo delle grandi città è fondamentale contro i cambiamenti climatici
C40 è una ong che da dieci anni unisce le più grandi città del mondo nella lotta al riscaldamento globale. Un network che ha come obiettivo far fronte comune, unire le forze per affrontare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. A farne parte sono oltre 80 metropoli, a volte vere e proprie megalopoli con un
C40 è una ong che da dieci anni unisce le più grandi città del mondo nella lotta al riscaldamento globale. Un network che ha come obiettivo far fronte comune, unire le forze per affrontare le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. A farne parte sono oltre 80 metropoli, a volte vere e proprie megalopoli con un numero di abitanti superiore a tre milioni, altre città più piccole che però devono affrontare minacce gravi, quali l’innalzamento del livello dei mari o la desertificazione. Insieme, questa rete riunisce circa 600 milioni di cittadini. In occasione della Giornata mondiale delle città del 31 ottobre, Caterina Sarfatti, strategic programme manager di C40, spiega perché ci sia bisogno di organizzazioni come questa per contrastare quella che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha definito “la minaccia più grave” del nostro tempo.
Quali città possono far parte di C40?
La membership è composta solo da grandi città, cioè con un numero di abitanti superiore a tre milioni. Milano, ad esempio, è membro in quanto città metropolitana. Oppure ne possono far parte città che sono esposte ai cambiamenti climatici in modo grave, come Rotterdam, nei Paesi Bassi, e l’italiana Venezia, entrambe seriamente minacciate dall’innalzamento del livello dei mari.
I sindaci godono di una fama politica migliore perché hanno un rapporto diretto con il territorio, con le persone. Com’è possibile rendere la loro leadership più efficace nella lotta al riscaldamento globale senza allontanarli dai governi?
Le città possono aiutare davvero tanto gli stati a contrastare i cambiamenti climatici. Oggi siamo lontanissimi dall’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura media globale come previsto dall’Accordo di Parigi, ma nonostante questo le città fanno buona parte del lavoro perché godono di una capacità di azione più efficace e rapida. Tutto questo è dettato anche dalla maggiore esposizione dei sindaci nei confronti della cittadinanza. È a loro che gli abitanti di una città si rivolgono quando si verifica un disastro naturale, come un’alluvione o l’esondazione di un fiume. Ma senza l’appoggio e il supporto, non solo economico, dei governi nazionali, l’azione delle città resta di corto raggio.
Che tipo di benefici può avere una città che fa parte di C40?
Restando sull’esempio delle città più colpite dall’innalzamento del livello dei mari, Le città-delta di Rotterdam, Venezia, New York, negli Stati Uniti, e Ho Chi Minh (ex Saigon), in Vietnam hanno dato vita a Connecting delta cities, una partnership all’interno della governance di C40 che ha dato la possibilità di mettere in condivisione le esperienze pur nel rispetto delle diversità locali. Così Rotterdam ha fatto da consulente per Ho Chi Minh “esportando” a livello internazionale il know how, le sue capacità di adattamento, fornendo il case study relativo alla capacità di adattarsi. Il progetto, però, è stato replicato nel rispetto delle necessità territoriali.
Quali sono le città più popolose che fanno parte di C40? E quali solo le “prime della classe” nella lotta al riscaldamento globale?
Da Lagos, in Nigeria, fino a Rio de Janeiro, in Brasile. Ci sono tutte, anche Karachi, la città pachistana più in crescita al mondo. Ma la cosa più importante è l’aumento delle adesioni a C40 da parte delle città cinesi. Senza la Cina, infatti, non si può essere sufficientemente efficaci, ma soprattutto le megalopoli cinesi non possono fare nulla senza l’approvazione del governo centrale. Questo significa che l’interesse di Pechino c’è, è concreto, nonostante l’iniziativa arrivi dagli Stati Uniti.
L’interesse di una città verso i cambiamenti climatici, e quindi verso C40, cambia a seconda del colore politico?
Non è ancora capitato che una città uscisse dall’organizzazione in seguito a un’elezione, ma potrebbe capitare, soprattutto se le amministrazioni non dovessero rispettare gli standard di partecipazione. Come stabilire un target di riduzione delle emissioni di gas serra, avere un piano di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici. Insomma essere attivi. Però già oggi abbiamo città di ogni colore politico e questo non è mai stato un problema. La cosa importante, però, è che sia la presidenza che il comitato esecutivo (steering committee) composto da 13 città, sono ad appannaggio del sindaco, della leadership e non della città in quanto tale. Ad esempio, la partecipazione di Giuseppe Sala al comitato esecutivo in qualità di sindaco di Milano è arrivata per una sua precisa volontà di ricandidarsi: non è stata una cosa automatica derivante dal fatto che Giuliano Pisapia ricoprisse quel ruolo prima di lui.
Quali sono le città italiane che fanno parte di C40?
Oltre alle già citate Milano e Venezia, ne fa parte anche Roma. Con l’ex sindaco Ignazio Marino abbiamo lavorato molto bene. All’epoca aveva anche tenuto un discorso sul problema delle migrazioni causate dai cambiamenti climatici. Ora siamo in attesa di incontrare la nuova sindaca Virginia Raggi. E anche con Beppe Sala come sindaco siamo sicuri che Milano continuerà a essere una delle città più attive.
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