Secondo i dati preliminari il 2023 è stato un anno anomalo, in cui l’assorbimento netto della CO2 da parte degli ecosistemi terrestri si è quasi azzerato.
Clima, ci restano tre anni per provare a salvare la Terra
Uno studio pubblicato dalla rivista Nature spiega che al mondo restano 36 mesi per invertire la rotta ed evitare lo sconvolgimento del clima.
Tre anni. È il tempo che rimane all’umanità per invertire la rotta in materia di lotta ai cambiamenti climatici e centrare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Altrimenti, dovremo prepararci al peggio. Ad indicare il conto alla rovescia per la salvezza della Terra è uno studio apparso sulla rivista scientifica Nature, condotto da un gruppo di scienziati ed esperti guidato da Christiana Figueres, vice presidente della Convenzione mondiale dei sindaci per il clima e l’energia, nonché ex segretaria generale dell’Unfccc, la Convenzione quadro per il clima delle Nazioni Unite.
Le sei azioni necessarie per salvare il clima
Gli autori sono stati sostenuti a livello internazionale da numerose personalità del mondo politico, universitario ed economico. Nell’analisi, si sottolinea il fatto che se le emissioni di gas ad effetto serra continueranno ad aumentare o qualora dovessero restare stabili di qui al 2020, diventerà allora impossibile raggiungere il target indicato al termine della Cop 21 di Parigi nel dicembre del 2015. Tuttavia, è ancora possibile dare al Pianeta la possibilità di non essere stravolto.
When it comes to climate change, timing is everything. Thanks to all who contributed to this Comment in Nature https://t.co/U0YHegZZ6s
— Christiana Figueres (@CFigueres) 29 giugno 2017
Per farlo, il rapporto indica una serie di misure che occorrerà adottare al più presto. In primo luogo, sarà necessario far sì che almeno il 30 per cento della produzione mondiale di energia elettrica sia garantita da fonti rinnovabili, nonché impedire la costruzioni di nuove centrali a carbone dopo il 2020, chiudendo al contempo quelle esistenti. La seconda azione riguarda l’edilizia: ogni città dovrà rendere a “zero emissioni” almeno il 3 per cento dei propri edifici ogni anno. In tema di mobilità, poi, occorrerà portare ad almeno il 15 per cento la quota di veicoli elettrici tra le vendite di auto nuove, raddoppiare l’uso dei trasporti pubblici nelle città, migliorare la resa del carburante utilizzato dai mezzi pesanti e diminuire del 20 per cento le emissioni generate dal trasporto aereo.
Foreste, industria, finanza: tutti devono fare la loro parte
La quarta misura indicata dallo studio punta invece alla conservazione delle foreste. Le emissioni attuali generate dalla deforestazione e dal cambiamento dell’utilizzo delle terre disboscate rappresenta infatti il 12 per cento delle emissioni totali sulla Terra. Occorre azzerare tale cifra e ripiantare gli alberi, consentendo ai nuovi boschi di fare la loro parte nell’assorbimento della CO2. Al contempo, occorrerà superare le pratiche agricole non ecologiche.
Christiana Figueres sets out six-point plan for turning the tide of the world’s #carbon by 2020 https://t.co/GahJi5FePP #climate #emissions pic.twitter.com/OfqDK7N0Hv
— E3G (@e3g) 29 giugno 2017
L’industria, inoltre, dovrà dimezzare le proprie emissioni entro il 2050, a partire da quelle più inquinanti come le acciaierie, i cementifici, le fabbriche chimiche, del gas e le raffinerie. Infine, è il mondo della finanza che dovrà entrare in gioco, garantendo un flusso di finanziamenti pari a mille miliardi di dollari all’anno destinati ad azioni in favore della protezione del clima, anche grazie all’utilizzo dei “green bond” (le obbligazioni “verdi”).
“Dobbiamo lasciare che la scienza guidi le decisioni e definisca gli obiettivi futuri”, si legge nello studio, nel quale si sottolinea anche che “tutti i paesi dovranno adottare dei programmi per arrivare al 100 per cento di produzione da fonti rinnovabili”. Dopo tanti anni, ha spiegato Figueres, “abbiamo capito che non è vero che la crescita economica e la protezione dell’ambiente sono incompatibili”. A pensarlo resta però il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
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