La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Cop 21. Per gli stati più vulnerabili due gradi non bastano per evitare il peggio
I paesi che compongono il “Climate Vulnerable Forum” si sono riuniti alla Cop 21. Lanciando al pianeta un monito: alziamo l’asticella o sarà la catastrofe.
“L’emergenza è dell’intera umanità, non soltanto nostra. Nessuno è immune di fronte ai cambiamenti climatici”. A spiegarlo sono stati i paesi membri del Climate vulnerable forum, organismo che riunisce gli stati più vulnerabili ai cambiamenti climatici: è il caso, ad esempio, del Nepal, del Bangladesh, delle Maldive, dell’Etiopia, o ancora della Repubblica di Kiribati.
Anche a costo di sacrificare il nostro stile di vita
I loro rappresentanti si sono riuniti a Parigi nella corso della seconda giornata della Cop 21. Il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, ha ricordato come il suo paese, negli ultimi mesi, abbia subito i peggiori tifoni mai registrati finora: “Affrontare i cambiamenti climatici non è una scelta filosofica – ha dichiarato – bensì una necessità. E il nostro impegno da solo non può bastare: di fronte a questa sfida occorre uno slancio di solidarietà globale. Tutti dobbiamo contribuire, anche a costo di sacrificare parte del nostro stile di vita attuale”.
1,5 gradi è il limite giusto
Gli ha fatto eco il segretario alle Finanze di Manila, Cesar Purisima, secondo il quale “se non si agirà, il 50 per cento dell’impatto economico globale provocato dai cambiamenti climatici sarà sulle spalle dei paesi più vulnerabili. Abbiamo calcolato che perderemo, ogni anno, il 2,5 per cento del nostro pil”. Per queste ragioni, i paesi che compongono il Forum hanno chiesto esplicitamente che il risultato della Cop 21 sia ancora più ambizioso rispetto a quanto dichiarato alla vigilia: “Il nostro gruppo propone un impegno per limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo, e non a due gradi come annunciato, se si vogliono davvero evitare conseguenze catastrofiche”.
Un obiettivo ambizioso, soprattutto tenendo conto dei “dissapori” già registrati durante le prime ore di negoziati tra i 196 paesi partecipanti alla conferenza. La Cina ha ribadito, ad esempio, che “i Paesi sviluppati devono mantenere i loro impegni e finanziare le politiche di adattamento nel Sud del mondo”. L’India le ha fatto eco. E se le economie più sviluppate hanno risposto promettendo di aumentare i loro aiuti a cento miliardi di dollari all’anno, entro il 2020, i destinatari di tali finanziamenti hanno chiesto garanzie sul fatto che la promessa venga rispettata.
Intanto, undici nazioni (tra le quali figurano Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna), hanno annunciato lo stanziamento di 248 milioni di dollari a favore del Fondo per i paesi meno sviluppati, al fine di sostenerne l’adattamento ai cambiamenti climatici. La Francia, inoltre, ha dichiarato di voler “arrivare entro il 2020 a garantire a ottanta nazioni vulnerabili l’installazione di sistemi di allerta preventivi per gli eventi meteorologici estremi”. Il che dovrebbe “mettere al riparo circa un miliardo di esseri umani in tutto il mondo”. E la Banca mondiale ha presentato un programma, sostenuto da Germania, Svezia, Svizzera e Norvegia, volto ad aiutare le nazioni in via di sviluppo a diminuire le loro emissioni di gas ad effetto serra.
Grandi e piccoli, siamo tutti chiamati ad agire
Nonostante ciò, è probabile che la questione economica rimanga un nodo difficile da sciogliere. Nessuno vuole affondare troppo le mani nelle tasche. Eppure, ha spiegato Manuel González Sanz, ministro degli Esteri della Costa Rica, “negli ultimi anni il nostro paese ha ridotto fortemente le proprie emissioni inquinanti. Al contempo, abbiamo registrato un periodo di forte crescita economica. E anche lo Human Development Index (indice delle Nazioni Unite con il quale si valuta il benessere di uno stato, ndr) è aumentato: non è affatto vero, dunque, che chi si impegna per l’ambiente debba poi scontare tale scelta a livello economico”. Per cui, ha aggiunto, non ci sono scuse: “Paesi grandi e piccoli, siamo tutti chiamati ad agire”.
BREAKING : 47 pays dits “vulnérables” adoptent une position commune en faveur du 100% d’énergies renouvelables d’ici 2050 #COP21
— Greenpeace France (@greenpeacefr) 30 Novembre 2015
Come? Per le nazioni più minacciate dai cambiamenti climatici non ci sono dubbi: bisogna puntare sulle energie rinnovabili, che “devono diventare l’unica fonte di energia entro il 2050”. Ad annunciarlo, come riferito in un tweet da Greenpeace France, sono stati 47 governi di paesi “a rischio”. Che per ora, dunque, sembrano pronti a seguire l’indicazione fornita dal presidente francese François Hollande: “Il pericolo – ha dichiarato – non è volare alti e fallire. È volare bassi e centrare l’obiettivo”.
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