La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Si è conclusa a Cancún la tredicesima conferenza delle parti dedicata alla biodiversità organizzata dalle Nazioni Unite.
Si è conclusa, dopo due settimane di negoziati, la Cop 13, la tredicesima conferenza delle parti dedicata alla biodiversità svoltasi a Cancún, Messico. Il vertice, iniziato il 4 dicembre e conclusosi il 17, si è concentrato sull’adozione di politiche per l’integrazione della biodiversità in attività umane come agricoltura, pesca, silvicoltura e turismo. Tutte le conclusioni sono state raccolte in una serie di documenti. È stata inoltre l’occasione per fare il punto sul Target di Aichi, una serie di impegni presi sei anni fa in occasione della Cop 10.
Gli oltre 190 paesi partecipanti alla conferenza hanno sottoscritto la Dichiarazione di Cancún, testo che riconosce l’importanza fondamentale della biodiversità ed evidenzia la necessità di proteggerla. Il testo promuove inoltre azioni trasversali volte a ridurre e invertire la perdita di biodiversità attraverso la gestione integrata di ecosistemi marini e terrestri e il ricorso a pratiche sostenibili che aiutino a ripristinare la salute degli ecosistemi.
Nel corso della Cop 13, a cui hanno partecipato oltre 10mila persone tra cui rappresentanti di governi, associazioni e membri di popolazioni indigene, sono stati raggiunti diversi accordi mirati alla salvaguardia della biodiversità e alla sua convivenza con le attività antropiche e al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Durante la conferenza si è parlato anche dell’impollinazione e della sua stretta relazione con l’agricoltura e la produzione alimentare. Anche per preservare gli animali impollinatori le parti interessate hanno deciso di istituire ulteriori aree protette e individuato nuove zone marine biologicamente significative da proteggere.
A meno di un anno dalla Cop 21, la conferenza sul clima svoltasi a Parigi lo scorso dicembre, anche durante la Cop 13 si è affrontato il problema dei cambiamenti climatici. Gli stati partecipanti si sono impegnati a lavorare per rispettare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, ribadendo la necessità di ridurre le emissioni, e hanno riconosciuto il ruolo centrale della biodiversità nella mitigazione dei mutamenti del clima.
L’importanza delle popolazioni indigene nella conservazione dei territori che abitano è ormai evidente, queste persone hanno infatti una grande conoscenza e un profondo rispetto per gli ecosistemi da cui dipendono. Il Wwf ha calcolato che l’80 per cento delle ecoregioni più ricche del mondo sono abitate da comunità indigene. La Cop 13 ha “certificato” questo fondamentale contributo attraverso l’articolo 8 (j) della convenzione, che obbliga le parti a “rispettare, preservare e mantenere le conoscenze, innovazioni e pratiche delle comunità indigene e locali”, che sostengono la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità.
La Cop 13 è stata l’occasione per affrontare questioni importanti e complesse, come la valutazione del rischio derivante dagli organismi geneticamente modificati e dalla biologia di sintesi. “La comunità mondiale ha capito l’importanza per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e del Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e l’equa ripartizione dei benefici”, ha dichiarato Braulio Ferreira de Souza Dias, segretario esecutivo della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd). I protocolli contribuiscono a garantire che le moderne biotecnologie non danneggino la biodiversità.
Il paese ospitante, il Messico, scelto per la sua straordinaria diversità biologica e per l’elevato numero di aree protette, ha approfittato dell’occasione per annunciare l’istituzione di quattro nuove riserve protette per un totale di 91 milioni di ettari. Tre delle nuove riserve, il cui annuncio è stato dato dal presidente del Paese Enrique Peña Nieto, proteggeranno gli ecosistemi marini del Pacifico e dei Caraibi, ciò consentirà di aumentare la protezione dell’ambiente marino del 23 per cento, più che raddoppiando l’obiettivo del 10 per cento fissato per il 2020. L’altra riserva proteggerà invece 309mila ettari di foreste e montagne della Sierra de Tamaulipas, un territorio che offre riparo ai grandi felini del Messico come giaguaro, puma, yaguarondi e ocelot.
Sono state inoltre create cinque nuove zone di salvaguardia, nelle quali sarà vietata l’esplorazione e l’estrazione di idrocarburi. “Dobbiamo proteggere e conservare la biodiversità perché contribuisce alla sopravvivenza e allo sviluppo della comunità – ha affermato Peña Nieto. – Trentadue milioni di turisti ogni anno visitano il Messico per godere delle sue bellezze naturali. Queste devono essere conservate affinché continuino ad attrarre i visitatori in futuro. La nostra sfida è quella di proteggere l’ambiente e realizzare inclusione sociale. Dobbiamo vedere la conservazione della biodiversità come una strategia per lo sviluppo”.
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