Nel primo, secondo molti decisivo, dibattito in vista delle presidenziali, Kamala Harris ha convinto. Secondo la testata americana Cnn il 63 per cento degli spettatori ha preferito la candidata democratica.
Elezioni in Afghanistan, chi è Karzai e cosa lascia
L’Afghanistan è sempre lì. Con la sua collocazione geografica, i suoi paesaggi ostili, le sue terre contese da sovietici, talebani, americani, adesso è alle prese con le elezioni presidenziali. Le operazioni di voto per il primo turno sono cominciate oggi alle 7 (le 4:30 italiane). Gli appelli pubblici ad andare a votare, le impressionanti
L’Afghanistan è sempre lì. Con la sua collocazione geografica, i suoi paesaggi ostili, le sue terre contese da sovietici, talebani, americani, adesso è alle prese con le elezioni presidenziali.
Le operazioni di voto per il primo turno sono cominciate oggi alle 7 (le 4:30 italiane). Gli appelli pubblici ad andare a votare, le impressionanti code di fronte ai seggi sono sembrati agli osservatori internazionali segnali incoraggianti. Nonostante i dubbi di irregolarità e gli attentati talebani che sono già costati la vita a due poliziotti afgani, la gente è andata comunque a mettersi in coda, con la speranza di dare una svolta a un paese in guerra da oltre trent’anni.
Sono 12 milioni gli afgani chiamati a esprimersi sul successore di Hamid Karzai, un uomo su cui s’erano appuntate dieci anni fa tante speranze di cambiamento. Forse troppe, dato il suo curriculum opaco e il legame con l’amministrazione Bush. Un uomo che col passare degli anni è stato chiamato “il sindaco di Kabul”, per via dello scarso controllo che è riuscito ad avere sul resto del territorio. Con il fratello Quayum immischiato nel traffico di droga, l’altro, Mahmud, in una vasta rete di corruzione tra cui il caso della Banca di Kabul, e l’altro ancora, Ahmed, assasinato dalla sua guardia del corpo, forse per un regolamento di conti.
Karzai è stato un presidente ondivago, che ha sposato la linea dura del Pentagono nella lotta al terrore, salvo poi opporsi a siglare un accordo per la collaborazione integrata con le forze armate statunitensi. Che ha prima combattuto, poi flirtato con l’estremismo islamico. A cui prima è stato chiesto di impersonare il ruolo del costruttore di un nuovo Afghanistan, poi non ha fatto nulla per contrastare la corruzione dilagante.
Al suo successore spetterà dunque la guida di questa terra coperta dalle macerie di una guerra interminabile, una guerra che si continua a combattere quotidianamente, non solo nelle zone più remote, delusa da promesse mai mantenute, stordita dai continui cambiamenti delle geometrie degli alleati, stremata da una quotidianità arida e avara.
Dopo l’uccisione della fotografa tedesca di guerra Anja Niedringhaus, il bilancio della giornata elettorale è stato quasi incoraggiante, date le premesse: “solo” due attentati gravi in zone periferiche del Paese.
Presto sarà decretato il vincitore, il successore di Karzai. In un Paese dove i brogli elettorali sono un fenomeno endemico (basti pensare che una donna è stata fermata in un seggio mentre stava cercando di votare undici volte) qualsiasi previsione è un esercizio vano e vago.
Le speranze dell’Occidente, tra gli otto candidati, s’incentrano su Abdullah Abdullah, leader della resistenza antisovietica negli anni ’80 ed ex braccio destro dell’eroe nazionale Massud. Tra gli altri, i due più forti sono ancora entrambi legati al clan Karzai: il fosco ex ministro degli esteri Zalmai Rassul e l’ancor più oscuro tecnocrate della Banca Mondiale Ashraf Ghani Ahmadzai, che si è preso come vicepresidente un signore della guerra uzbeko, Mohammed Ayub Rafiqi, che gli porterà larghi consensi nella zona settentrionale. Ma c’è anche Gul Agha Sherzai, che strinse a Barack Obama la mano nel 2008 quand’era governatore della provincia di Nangarhar, quando fu soprannominato “uno dei signori della guerra preferiti d’America”.
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