La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Finanza responsabile in Italia, a che punto siamo
La finanza responsabile continua a crescere in Europa. E l’Italia non fa eccezione, ma il cammino è lungo e il lavoro da fare è tanto.
Aprire i lavori della Settimana SRI nella sala della Regina di palazzo Montecitorio, a Roma, vale a dire nel cuore della politica italiana, senza dubbio significa lanciare un segnale. Un segnale rivolto alle istituzioni, agli operatori, ai risparmiatori: la finanza responsabile va presa sul serio. Ma l’Italia rappresenta un’eccellenza in questo campo o sconta qualche ritardo? Quali sono le strategie più comuni per investire il proprio denaro in modo sostenibile? A dare una risposta è l’ultima edizione del rapporto Eurosif, al centro dell’evento che si è tenuto il 15 novembre.
Qualche numero sul settore finanziario italiano
Negli ultimi due anni – si legge nel rapporto Eurosif – i mercati finanziari italiani si sono lentamente ripresi dalla crisi. Alla fine del 2015, il totale degli asset gestiti dagli investitori istituzionali (compagnie di assicurazione, fondi pensioni, fondi comuni e wealth management) è arrivato a circa 1.400 miliardi di euro. Si tratta di un settore dominato da pochi grandi attori, in particolare le compagnie assicurative, che dopo la Cop 21 – ha spiegato Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la finanza sostenibile – hanno preso posizione in modo compatto a livello internazionale sulle tematiche ambientali, sociali e di governance. I fondi pensione mostrano promettenti margini di sviluppo, anche se il loro peso è ancora limitato: i piani pensionistici complementari gestiscono circa 140 miliardi di euro. Complessivamente, il settore del risparmio gestito vale 1.900 miliardi di euro.
La finanza responsabile nel nostro paese
Tra le sette strategie della finanza responsabile, la più comune (in Italia come in Europa) è quella delle esclusioni, che è arrivata a quota 569 miliardi di euro: ciò significa che la stragrande maggioranza degli investitori responsabili taglia fuori settori poco etici dal proprio portafoglio. La segue a ruota, con 565 miliardi, la selezione di aziende e stati che rispettano norme e trattati internazionali, come le Convenzioni dell’Onu o di altre sue agenzie (Unicef, Ilo, Unep). Ma la crescita più rapida è quella degli investimenti tematici, il cui volume è quasi raddoppiato nell’arco di soli due anni: si tratta di tutti quegli investimenti sui settori di efficienza energetica, rinnovabili, salute e così via. Ottime notizie anche dal mondo dell’impact investing, che “ha ancora masse più ridotte ma cresce molto, in quantità e soprattutto in qualità. Se si fanno valutazioni serie sugli investimenti, infatti, si scopre che la finanza responsabile non sacrifica necessariamente il profitto. E in Italia abbiamo startup e settori innovativi che permettono ritorni molto interessanti”, spiega Francesco Bicciato. Fa qualche passo indietro, invece, l’engagement, che consiste nel dialogo attivo con il management delle imprese, fino a intervenire all’assemblea degli azionisti. “Questa strategia cresce se esistono politiche che lo incoraggino”, avverte Bicciato.
Le leggi che aiutano gli investimenti sostenibili
Negli ultimi due anni il quadro legislativo che coinvolge la finanza responsabile non ha vissuto particolari cambiamenti. Nel prossimo futuro, però, bisognerà attendersi grandi e piccole rivoluzioni. Già alla fine di quest’anno entrerà in vigore la direttiva 2015/95/UE, che obbligherà le aziende di interesse pubblico con più di cinquecento dipendenti a pubblicare un bilancio di sostenibilità. In linea generale, tutti dovranno impegnarsi a rispettare gli impegni presi alla Cop 21. E i gestori di asset dovranno rispondere all’interesse e alla sensibilità sempre più forte verso i fattori Esg (ambientali, sociali e di governance).
In questo mondo che cambia, l’apporto delle istituzioni sarà fondamentale. L’onorevole Federico Ginato, ad esempio, cita il disegno di legge sull’educazione finanziaria, già approvato alla commissione Finanza e in attesa di pareri da altre commissioni parlamentari, in cui per la prima volta un rappresentante del Forum per la finanza sostenibile siede nel comitato di indirizzo. Oppure la scelta di includere nel documento di Economia e finanza l’andamento del Bes (Benessere equo e sostenibile), per fornire cifre alternative e complementari al pil. Ma, avverte, è bene rimanere con i piedi per terra: “Le iniziative parlamentari sono molteplici, ma è indispensabile definire una cornice, altrimenti rischiamo di muoverci in modo contraddittorio”.
Foto in apertura: ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images
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