Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Fondi, cooperazione, impegni nazionali: il percorso a ostacoli della Cop 21
A pochi mesi dalla Cop 21 di Parigi, le distanze tra i governi su numerose questioni sono ancora ampie: ecco i principali nodi da sciogliere.
Nonostante l’accordo raggiunto dai governi del G7 all’inizio di giugno, nonostante l’annuncio del Clean power plan da parte degli Stati Uniti, e nonostante le promesse avanzate da numerose nazioni, concludere con un successo la prossima Conferenza mondiale sul clima Cop 21 non sarà semplice. Sono infatti numerose le questioni ancora irrisolte: a confermarlo è un documento di lavoro interno preparato dalla Francia, nazione che ospiterà il summit nelle prime due settimane di dicembre.
Chi dovrà impegnarsi di più?
Uno dei principali punti di dissenso è legato agli impegni “differenziati” che dovranno essere assunti dai singoli governi: chi, in altre parole, dovrà effettuare gli sforzi maggiori? Si prevede in questo senso un braccio di ferro tra le economie avanzate e quelle emergenti. Da tali rapporti di forza deriveranno, ad esempio, gli impegni dei cosiddetti “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
Non più di 2ºC: sì, ma come?
Come noto, l’obiettivo che si prefigge la comunità internazionale è di contenere il riscaldamento medio dell’atmosfera terrestre entro i 2ºC, prima della fine del secolo. Il problema è come (e quando) farlo: un punto cruciale sarà legato infatti alla durata dell’eventuale accordo che uscirà dalla Cop 21. Occorrerà inoltre trovare un’intesa sui termini dell’attualizzazione degli obblighi, ovvero sulla loro rivalutazione nel tempo in base ai risultati raggiunti.
Finanziamenti, tecnologia e cooperazione
I Paesi in via di sviluppo chiedono poi che siano precisati gli impegni in termini finanziari da parte delle economie avanzate. In particolare per quanto riguarda i 100 miliardi di dollari all’anno promessi, di qui al 2020, per garantire la transizione verso le energie pulite. Ma occorrerà trovare una sintesi anche sul tema del trasferimento di tecnologie tra Stati. E dovrà essere sciolto il nodo della cooperazione tra governi ed altri soggetti (ad esempio gli enti locali, ma anche le Ong) al fine di rendere “diffuso” l’impegno in difesa dell’ambiente.
L’adattamento ai cambiamenti climatici
Nel frattempo, occorrerà anche adattarsi ai cambiamenti climatici. Alcune nazioni saranno inevitabilmente colpite, e un punto cruciale dell’accordo sarà quello relativo ai danni che esse subiranno: chi pagherà? Gli Stati più vulnerabili, a cominciare dalle isole minacciate di ritrovarsi sommerse dai mari, chiedono impegni chiari e vincolanti.
Quale forma giuridica per l’accordo?
Infine, ammesso anche che un accordo venga raggiunto, quale sarà la sua forma giuridica? Nel 2011, a Durban, i governi sostennero la necessità di ottenere “un protocollo, o un altro strumento avente forza legale”. Una formula che lascia di fatto aperte numerose opzioni. C’è da chiedersi, poi, se gli impegni nazionali saranno integrati nel protocollo stesso, oppure se faranno parte di documenti separati. Stesso discorso per un altro punto fondamentale: le regole in tema di trasparenza.
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