
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Secondo Greenpeace la caccia alle balene da parte del Giappone è inutile e serve solo a “mantenere un ente del ministero della Pesca”.
All’eufemismo della “ricerca scientifica”, ovvero l’unica motivazione che dal 1986, anno della moratoria emessa dalla Commissione baleniera internazionale (Iwc), consente al Giappone di uccidere balene, non abbiamo mai creduto molto. È inoltre noto che ormai solo un’esigua parte della popolazione giapponese continua a mangiare carne di balena. Per quale motivo, dunque, il Giappone continua a dare la caccia a questi enormi mammiferi marini, a dispetto delle leggi e dell’opinione pubblica mondiale?
Secondo Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, la motivazione dietro l’uccisione annuale di centinaia di cetacei sarebbe, come spesso avviene, prosaica e banale. La mattanza avviene solo per “mantenere ex funzionari e politici del ministero della Pesca, parcheggiati all’istituto di ricerca cetacei – ha affermato Giannì. – Una piccola minoranza di persone, protette dalla potentissima lobby che ruota intorno al ministero della Pesca”. Ogni anno l’istituto di ricerca, che dovrebbe basarsi sulle carcasse di 333 balenottere minori (Balaenoptera acutorostrata) uccise nell’Oceano Antartico per studiare l’ecosistema dell’Antartide (anche se gli esperti sostengono che la maggior parte delle informazioni ottenute in questo modo sono disponibili anche solo esaminando le feci degli animali), riceve circa dieci milioni di dollari di soldi pubblici.
Un tempo le battute di caccia alla balena venivano finanziate dalla vendita della carne dei cetacei. Oggi però sembra che i giapponesi non abbiano più intenzione di continuare a mangiare le balene e anche il pretesto della tradizione decade. I giovani non la vogliono mangiare e il consumo di carne di balena riguarda solo piccole comunità o qualche anziano nostalgico a cui quest’alimento ricorda i tempi della scarsità di proteine nel dopoguerra.
Si stima che circa tre quarti della carne di balena pescata rimangano invenduti, “così tonnellate di carne di balena rimangono nelle celle frigorifere e i cittadini giapponesi continuano a pagare di tasca propria questa grande truffa – ha dichiarato Giannì. – Solo il 5 per cento circa della popolazione giapponese mangia abitualmente carne di balena”. Per un certo periodo la carne di balena è stata utilizzata da una società per produrre una linea di cibo di lusso per cani, fino a che, in seguito alle proteste degli ambientalisti, non ha deciso di ritirare il prodotto dal mercato.
Nonostante tutto ciò la caccia alle balene continua, rendendo l’uccisione di questi minacciati giganti ancor (se possibile) più terribile e priva di senso. Le baleniere giapponesi hanno attraccato proprio alla fine di marzo nel porto di Shimonoseki, con a bordo i corpi senza vita di 333 balenottere minori, frutto della caccia durata 83 giorni. Il piano di caccia del Giappone è lontano dal concludersi, nel 2015, dopo appena un anno di stop, il Paese nipponico presentò infatti un piano che prevedeva l’uccisione di circa quattromila balenottere in dodici anni. La fine della guerra tra il Giappone e le balene (e la quasi totalità del resto del mondo) è ancora lontana.
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