Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
Il 9 agosto è la Giornata mondiale dei popoli indigeni
Sono più di cinquemila, distribuite in circa novanta paesi del mondo, le popolazioni che vengono comunemente definite “indigene”. L’Onu celebra questa diversità come un patrimonio da preservare.
In un mondo sempre più globalizzato nel quale alimenti, prodotti e perfino idee tendono ad essere conformati, la diversità è troppe volte vista come un ostacolo, un’incongruenza da appianare.
La resistenza della diversità
Eppure, disseminate per il globo, esistono ancora tante comunità, oltre cinquemila, che resistono a questo appiattimento culturale e che perpetuano tradizioni e stili di vita antichi, con caratteristiche sociali, culturali, economiche e politiche distinte da quelle delle società dominanti in cui vivono. Proprio per celebrare la meravigliosa diversità antropologica del nostro pianeta il 9 agosto si festeggia la Giornata mondiale dei popoli indigeni, proclamata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1994.
Proteggere le popolazioni indigene dalla “civiltà”
Nonostante l’unicità di ogni etnia e le sostanziali differenze tra loro, tutte le popolazioni indigene hanno un problema comune, la difesa dei propri diritti. Dopo secoli di soprusi, genocidi, colonizzazioni ed “esportazioni di civiltà”, la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di predisporre misure speciali di protezione dei diritti dei popoli indigeni del mondo. Nel 2007 l’Onu ha adottato la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, lo strumento più completo sui diritti di tali popolazioni mai adottato, che conferisce ai diritti collettivi un rilievo senza precedenti nel campo del diritto internazionale dei diritti umani.
Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni
La dichiarazione è stata adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 settembre 2007. Proprio a questo anniversario, che rappresenta una tappa fondamentale per il rispetto delle popolazioni native, era dedicata la giornata del 2017. Il documento sancisce il diritto dei popoli indigeni a mantenere e rafforzare le proprie istituzioni, culture e tradizioni nonché il diritto a perseguire la forma di sviluppo più adatta ai loro bisogni e aspirazioni. La Dichiarazione garantisce (almeno sulla carta) agli indigeni il diritto all’educazione, alla salute, al lavoro e alla lingua, le popolazioni indigene godono inoltre del diritto all’autodeterminazione. Negli ultimi dieci anni grazie alla Dichiarazione sono stati raggiunti alcuni successi importanti, ma nonostante le conquiste è ancora netto il divario tra il riconoscimento formale dei popoli indigeni e l’effettiva attuazione di politiche adeguate.
L’edizione 2019 è dedicata alle lingue indigene
Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2019 l’Anno internazionale delle lingue indigene, così anche l’edizione della giornata internazionale di quest’anno è dedicata all’obiettivo di preservarle, tutelando i diritti e il benessere di chi è in grado di tenerle in vita. Alla base dell’unicità dei cinquemila popoli indigeni del mondo ci sono le lingue, che definiscono l’identità sociale e culturale di queste comunità e permettono loro di tramandare usanze, conoscenze e la loro storia. Delle 6.700 lingue parlate al mondo, la stragrande maggioranza è indigena. Una lingua si estingue ogni due settimane e con la crescita del numero di persone che parlano quelle dominanti – come l’inglese, il cinese e lo spagnolo – a discapito della diffusione di quelle meno conosciute, si stima che potrebbero sparire tra il 50 e il 90 per cento delle lingue al mondo entro la fine di questo secolo. Stiamo assistendo a una perdita inesorabile del patrimonio culturale delle popolazioni native e non resta che agire per cercare di salvarlo.
Anche le popolazioni indigene migrano
L’edizione del 2018 era dedicata invece alle migrazioni e agli spostamenti che le popolazioni indigene devono affrontare. A causa della perdita delle loro terre e delle risorse naturali, troppo spesso fagocitate dallo “sviluppo”, molte popolazioni indigene sono costrette a migrare verso le aree urbane, in cerca di migliori prospettive di vita, istruzione e occupazione. Queste persone devono talvolta abbandonare i propri territori anche a causa dei conflitti, delle persecuzioni ai danni delle minoranze etniche e degli impatti dei cambiamenti climatici. Nella maggior parte dei casi, secondo quanto riportato dall’Onu, le popolazioni indigene che migrano trovano migliori opportunità di lavoro e migliorano la propria situazione economica, si allontanano tuttavia dalle proprie origini, compromettendo il perpetuarsi di antiche culture. L’obiettivo della giornata è proprio quello di analizzare le cause alla base della migrazione e valutare le soluzioni per rivitalizzare le identità delle popolazioni indigene e favorire il rispetto dei loro diritti sia all’interno che al di fuori dei loro territori tradizionali.
La parola agli indigeni
È ormai evidente la necessità di includere rappresentanti dei popoli indigeni in tutti i livelli del processo decisionale. Il primo “indigeno” eletto per presenziare ad un meeting delle Nazioni Unite fu, nel 1989, Ted Moses, capo del gran consiglio dei Cree, tribù nativa del Canada, che denunciò gli effetti della discriminazione razziale sulla condizione economica e sociale della sua gente. Nonostante le dichiarazioni di facciata i diritti dei popoli indigeni vengono calpestati con sistematica regolarità, come in Brasile, per la realizzazione del complesso idroelettrico di Belo Monte, approvato senza consultare le comunità locali. Le popolazioni indigene custodiscono inoltre segreti fondamentali, come la conoscenza delle piante medicinali e sono ancora in grado di udire il linguaggio della natura, che noi abbiamo smesso di ascoltare. Un motivo in più per preservare tali culture.
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