
La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Investimenti e cambiamento climatico: due mondi che all’apparenza sembrano agli antipodi, ma in realtà sono legati a doppio filo. Perché ogni nostra scelta può porre un piccolo tassello per la tutela del pianeta: dal cibo che mangiamo, ai mezzi con cui ci spostiamo, ai negozi in cui facciamo acquisti, fino al modo in cui impieghiamo i
Investimenti e cambiamento climatico: due mondi che all’apparenza sembrano agli antipodi, ma in realtà sono legati a doppio filo. Perché ogni nostra scelta può porre un piccolo tassello per la tutela del pianeta: dal cibo che mangiamo, ai mezzi con cui ci spostiamo, ai negozi in cui facciamo acquisti, fino al modo in cui impieghiamo i nostri risparmi. Se ne è discusso a Milano, nel corso della Settimana SRI.
I cambiamenti climatici minacciano l’equilibrio degli ecosistemi, la qualità della nostra vita, la sopravvivenza di specie animali e vegetali. E – nonostante non lo si sottolinei abbastanza – anche gli investimenti. Sono state individuate cinque tipologie di rischio:
Se le aziende che non si attrezzano contro il cambiamento climatico sono destinate a pagarne il conto a livello finanziario, è bene cercare di tutelare i propri investimenti. La maggior parte degli investitori si impegna a fare il calcolo delle tonnellate di Co2 emesse dalle società che fanno parte del proprio portafoglio. Il metodo più comune è quello degli Scope:
Negli accordi internazionali si fa quasi sempre riferimento allo Scope 1. Per giunta, con gli altri due Scope entra in gioco il problema del doppio conteggio: le emissioni che rientrano nello Scope 2 o 3 di un’azienda, infatti, saranno nello Scope 1 di un’altra. Ma l’impatto ambientale non inizia e finisce con la Co2: ci sono anche l’impronta idrica, la deforestazione, l’impronta ecologica. La questione, insomma, è complessa. E in molti stanno lavorando per trovare un metodo di calcolo che sia attendibile e “a tutto tondo”.
Dopo aver misurato l’impatto ambientale del proprio portafoglio di investimenti, è il momento di fare qualcosa per ridurlo. Le strategie sono tre.
Engagement. Parlare con le aziende spesso è il primo passo; l’approccio prende il nome di soft engagement. Con l’hard engagement, invece, l’intervento si fa più deciso: l’investitore presenta mozioni e interviene all’assemblea degli azionisti.
Disinvestimento. In questi ultimi anni, molti investitori hanno scelto di cedere (del tutto o parzialmente) i titoli delle società che operano nel campo dei combustibili fossili. È un processo molto più rapido e “sicuro” rispetto all’engagement, ma bisogna anche dire che quei titoli potranno pur sempre essere acquistati da altri.
Riallocazione. Dopo aver abbandonato i combustibili fossili, si possono spostare i propri investimenti verso altre aziende che favoriscono la transizione verso un’economia low-carbon. Si occupa di questo, ad esempio, l’iniziativa Divest-Invest.
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