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Il cambiamento climatico riduce la disponibilità di cibo, secondo il Quinto rapporto Ipcc
Il cambiamento climatico è in atto, la natura resiste, ma il peggio deve ancora venire. È questo il quadro definito dal rapporto del secondo gruppo di lavoro dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) pubblicato lunedì 31 marzo alla fine dell’incontro tra scienziati e delegati che si è tenuto in Giappone. Lo scopo di questo testo
Il cambiamento climatico è in atto, la natura resiste, ma il peggio deve ancora venire. È questo il quadro definito dal rapporto del secondo gruppo di lavoro dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) pubblicato lunedì 31 marzo alla fine dell’incontro tra scienziati e delegati che si è tenuto in Giappone. Lo scopo di questo testo è identificare chiaramente gli impatti del cambiamento climatico sulla natura e sull’uomo.
Si tratta del secondo di tre rapporti. Il primo, pubblicato il 27 settembre 2013, ha definito le basi scientifiche del riscaldamento globale stabilendo che è un fenomeno inequivocabile e scientificamente provato. Il terzo, che dovrà fornire possibili soluzioni di mitigazione e obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, è atteso per aprile.
Ancora con questa parola… rischio
La parola “rischio” compare 230 volte in 2.600 pagine curate da 300 scienziati. Nell’edizione precedente (del 2007) era presente “solo” 40 volte secondo un conto fatto dalla Croce rossa internazionale. Numeri che spiegano anche l’affermazione di Rajendra Pachauri, presidente dell’Ipcc: “Nessuno su questo pianeta sarà al riparo dagli effetti del cambiamento climatico”.
I ghiacciai si stanno sciogliendo, così come il permafrost. Le barriere coralline presenti negli oceani stanno morendo. Le ondate di calore e le alluvioni sono sempre più frequenti. Ma la novità più importante del rapporto riguarda il collegamento tra il cambiamento climatico e la scarsità di cibo. E il verificarsi di possibili conflitti dettati dalla fame.
La produzione di grano e mais è in calo
In particolare viene evidenziato come un calo della resa dei campi di grano e di mais sia già in atto. Ma il futuro potrebbe essere anche peggiore perché si prevede che la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi di abitanti entro il 2050 facendo aumentare la domanda di cibo a fronte di un calo della sua disponibilità.
“Il cambiamento climatico sta agendo da freno. Abbiamo bisogno di un aumento del rendimento per rispondere alla domanda di cibo, ma questo invece sta calando per colpa del riscaldamento globale”, ha detto Michael Oppenheimer, professore dell’università di Princeton e co-autore del rapporto.
I problemi non riguardano solo l’agricoltura. Anche la pesca è minacciata e in alcune aree marine dei tropici si prevede che il pescato, su cui si basa la dieta di molti stati insulari, si ridurrà tra il 40 e il 60 per cento.
La corsa per la terra
In ultimo, il rapporto conferma per la prima volta le previsioni, già fatte da altre fonti autorevoli, di un possibile aumento delle rivolte e dei conflitti armati per la terra e le risorse naturali, soprattutto in Asia e in Africa, dovuti all’aumento dei prezzi di beni alimentari di prima necessità. Come successo dopo il picco del 2008 e del 2011.
Le conclusioni del rapporto dovranno ora essere recepite dai governi per fare in modo che le conferenze sul clima in programma diano risposte concrete su come ridurre i rischi e contenere i danni. La prossima conferenza delle parti (Cop 20) che aderiscono alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si tiene a Lima, in Perù, dal primo al 12 dicembre. Ma l’appuntamento cruciale dei negoziati sul clima è la Cop 21 di Parigi del 2015. Qui si prevede che verrà firmato il nuovo accordo internazionale che includerà impegni da parte di tutti, dagli Stati Uniti alla Cina.
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