Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.
Le isole Kiribati saranno inghiottite dagli oceani. La Cop 21 è la loro ultima speranza
La Repubblica di Kiribati è tra le nazioni più minacciate dai cambiamenti climatici. Entro pochi decenni potrebbe essere cancellata dalle carte geografiche.
Anote Tong è il presidente della Repubblica di Kiribati, un arcipelago popolato da oltre 100mila persone, che rischia di scomparire a causa dei cambiamenti climatici. È arrivato a Parigi sapendo che la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, Cop 21, per il suo paese, è una questione di vita o di morte.
La Repubblica di Kiribati rischia di scomparire
Le 33 isole equatoriali che compongono la piccola nazione, situate ad un’altitudine media di due metri sul livello del mare, rischiano infatti di essere semplicemente cancellate dalle carte geografiche. La risalita del livello degli oceani provocata dallo scioglimento dei ghiacci potrebbe, infatti, sommergerle completamente, se la temperatura media globale dell’atmosfera terrestre continuerà a crescere nei prossimi decenni.
“Siamo qui per chiedere impegni che siano in grado di salvare la nostra gente, povera o ricca che sia. E di dare un futuro alle prossime generazioni”, ha spiegato Tong in un videomessaggio registrato in occasione dell’avvio della conferenza. La situazione è di pura emergenza. Il presidente di Kiribati tenterà di convincere i governi che partecipano alla Cop 21 ad adottare un accordo che possa davvero limitare il riscaldamento dell’atmosfera.
Tra le ipotesi, un’immensa isola galleggiante
Nel frattempo ci si prepara al peggio lanciando progetti che appaiono tanto ambiziosi quanto permeati di disperazione: tra le idee valutate c’è persino quella di costruire un’immensa isola galleggiante, in grado di ospitare fino a 30mila persone per un secolo. Un gruppo di ingegneri giapponesi ha già visitato le isole, nel tentativo di pianificare il progetto, che prevederebbe grattacieli e spazi per i turisti. Ma che costerebbe centinaia di migliaia di dollari. Perciò, per tentare di arginare – letteralmente – il problema, Tong ha fatto appello a Paesi Bassi, Emirati Arabi Uniti e Corea del Sud per comprendere se e come si possano costruire dighe, o recuperare sabbia dai fondali per innalzare l’altitudine media delle isole.
President Anote Tong:”The biggest challenge is to assure that the next generation can be guaranteed a future” #COP21 https://t.co/kQmgQdfSFA
— COP21 – Paris 2015 (@COP21) 3 Dicembre 2015
“Sono sicuro che state pensando che io sia pazzo – ha spiegato parlando all’agenzia Afp, a margine della conferenza – ma è la situazione ad essere folle. Non credo che ci siano altre opzioni possibili per noi”. Una, in verità, c’è. La più triste e drammatica, eppure quella che la maggior parte della popolazione di Kiribati sta prendendo sempre più seriamente in considerazione: l’abbandono della loro terra. Il 2 dicembre è stato presentato alla Cop 21 un sondaggio condotto tra quasi 7mila abitanti della repubblica micronesiana, assieme a quelli di altri due stati particolarmente minacciati, Nauru e Tuvalu. Il risultato è disarmante: il 70 per cento delle famiglie residenti sulle isole afferma di essere pronto a scappare.
Metà della popolazione “intrappolata” sulle isole
La stessa indagine (condotta dalla Commissione economica e sociale dell’Asia e del Pacifico e dall’Istituto universitario per l’Ambiente, entrambi organismi delle Nazioni Unite) spiega che solamente la metà della popolazione locale possiede le risorse finanziarie per immaginare di emigrare. Molti cittadini sono infatti modesti pescatori che si ritroveranno, di fatto, intrappolati nel bel mezzo dell’oceano.
“Occorre – ha spiegato Tong – che la popolazione sia preparata, educata. E qualificata secondo specifici criteri internazionali, affinché possa sin da ora pianificare un processo migratorio”. Per questo, la Repubblica di Kiribati ha già comprato un appezzamento di terre agricole di 2mila ettari sul suolo delle isole Fiji. Per ora servono per mantenere l’approvvigionamento di cibo di cui necessitano gli abitanti. Un domani, potrebbero rappresentare la nuova patria dei kiribatiani.
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