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Giappone, aumentano le tavole calde per i bambini poveri
Ogni sera in Giappone migliaia di bambini si riuniscono per cenare in case o mense private, gestite da volontari. Le chiamano kodomo shokudo e, secondo il quotidiano giapponese Asahi, stanno aumentando a vista d’occhio: dalle 21 del 2013 alle 319 attuali. Le cosiddette tavole calde o “cafeterias” dei bambini rappresentano una reazione popolare spontanea all’innalzamento rapido del
Ogni sera in Giappone migliaia di bambini si riuniscono per cenare in case o mense private, gestite da volontari. Le chiamano kodomo shokudo e, secondo il quotidiano giapponese Asahi, stanno aumentando a vista d’occhio: dalle 21 del 2013 alle 319 attuali. Le cosiddette tavole calde o “cafeterias” dei bambini rappresentano una reazione popolare spontanea all’innalzamento rapido del tasso di povertà nel paese, pari al 16 per cento, che il governo rifiuta di riconoscere.
Il tabù giapponese della povertà
Essere poveri nel paese del Sol Levante è un tabù. Le prime stime ufficiali sulla povertà infantile sono state pubblicate a partire dal 2009, riportando che il tasso di indigenza (relativa) infantile è passato dall’11 per cento del 1985 al 16 per cento nel 2012, uno dei più alti nei paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Nel 2009 l’allora ministro del Lavoro ruppe per primo il silenzio con un rapporto secondo cui un giapponese su sei era povero, ovvero 20 milioni di persone. Tre anni dopo, nel 2012, un’altra indagine rivelò che una donna su tre, in età compresa fra i 20 e i 64 anni e che viveva da sola, era indigente.
Molti bambini giapponesi poveri sono figli di genitori della classe operaia, spesso separati o accuditi da una madre single, con un sostegno statale limitato o inesistente. Per evitare lo stigma sociale, le famiglie rinunciano a beni necessari, tra cui il cibo, per vestire i figli in modo che non appaiano svantaggiati. I ragazzi possono avere uno smartphone, ma non abbastanza soldi per comprarsi un succo di frutta. La vergogna è direttamente proporzionale ai rischi in cui possono incorrere, come diventare obiettivo di bullismo a scuola.
I bambini dei working poor
Si tratta dei figli dei “working poor”, adulti che, pur lavorando (il tasso di disoccupazione in Giappone è intorno al 3 per cento), non riescono a soddisfare i bisogni della famiglia a causa di contratti precari, part time e remunerazioni troppo basse. A volte questi bambini non sono così poveri da soffrire la fame, ma certamente di malnutrizione e solitudine. Specialmente quando il genitore è uno solo e deve lavorare di sera, i bambini possono contare su un unico pranzo adeguato a scuola e sopperire con il più economico junk food (cibo spazzatura) per il resto della giornata. Nei kodomo shokudo i volontari della comunità locale cercano di garantire ai ragazzi un’alimentazione sana e li aiutano nei compiti.
Questo racconta un reportage dell’Associated Press, anticipato da un precedente articolo del Japan Times: nel distretto operaio Arakawa, nel nordest di Tokyo, i piccoli pagano 300 yen, l’equivalente di 2,64 euro, per una cena nella caffetteria gestita da Misako Omura. “Spero – dice la volontaria – che ognuno capisca che ogni bambino è un nostro bambino, e che stiamo crescendo la prossima generazione che dovrà supportarci”.
Nel 2013 è stata approvata una legge affinché il governo centrale e le amministrazioni locali si coordinino per un sostegno ai bisognosi, ma “finora i funzionari non sanno bene cosa fare”, spiega sempre all’AP la professoressa Kaori Suetomi, esperta di finanza e amministrazione in campo educativo all’università Ninoh di Tokyo. Inoltre, i ministeri (Istruzione e Welfare) coinvolti nei programmi di sostegno economico non riescono ad accordarsi su chi deve sostenere i costi. Fortunatamente, ci sono delle eccezioni. Il comune di Akashi, nella prefettura di Hyogo, ha stanziato un budget e sta cooperando con le città vicine per aprire 28 locande serali per bambini entro il 2017.
L’Abenomics non basta
La ricetta macroeconomica del primo ministro Shinzo Abe per risollevare il paese da vent’anni di crisi e crescita lenta, l’Abenomics (fusione tra il cognome Abe e la parola inglese “economics”), non sta dando i risultati annunciati. Rieletto premier nel 2013, dopo un’esperienza fallimentare fra il 2006 e il 2007, il falco della destra Shinzo Abe è sotto pressione. Dopo che esponenti del Partito liberale democratico, portabandiera della mentalità più conservatrice, hanno incolpato le mamme divenute single per aver divorziato, l’esecutivo ha aumentato gli assistenti sociali nelle scuole e concesso qualche indennità ai genitori soli. Abe ha anche detto di voler aiutare i giovani, senza specificare come, e che le donne giapponesi sono un’importante risorsa per l’occupazione.
Il 70 per cento delle neomamme, però, continua ad abbandonare il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Divenuto terza potenza economica mondiale dopo la Seconda guerra mondiale, il Giappone respinge i fantasmi della fame e della miseria sconfitti settant’anni fa. Con l’amministrazione di Shinzo Abe sta per cambiare la Costituzione “pacifista”, adottando una politica estera più aggressiva appoggiata dall’alleato americano. Ha applicato la pena di morte sedici volte dalla fine del 2012 e non ha fatto chiarezza sugli effetti del disastro nucleare di Fukushima. Ma la negazione collettiva dei problemi che che ha causato sembra non reggere più. A riportare alla realtà ci sono i ragazzi che cenano negli kodomo shokudo, costretti a lavarsi nei bagni pubblici perché i loro genitori non sono riusciti a pagare le bollette di gas, luce e riscaldamento.
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