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Baotou, là dove nasce la tecnologia e si avvelena la terra
A Baotou, in Mongolia, sorge uno dei principali stabilimenti di lavorazione delle terre rare, minerali indispensabili per i dispositivi high-tech e dal grande impatto ambientale.
Il paesaggio sembra uscito da un film di fantascienza ambientato in un futuro distopico, camini e torri di raffreddamento si innalzano fino al cielo, riversando nell’atmosfera un fumo grigio che si confonde con il cielo plumbeo, poco distante si trova un lago artificiale, ricolmo di densi liquami tossici.
Siamo in un angolo remoto della Mongolia Interna, a Baotou, in questa parte di mondo che ci si aspetterebbe immacolata e selvaggia sorgono gli impianti di stoccaggio della Baotou Steel Rare-Earth, società che si occupa dell’estrazione delle cosiddette terre rare. Da questo girone infernale sulla terra provengono i materiali che saziano la nostra sete di tecnologia.
Le terre rare infatti sono elementi chimici essenziali per produrre molti beni ad alto contenuto tecnologico, dagli smartphone ai tablet, dagli schermi televisivi alle auto ibride e hanno molte applicazioni nel campo della difesa e degli armamenti. Si tratta in realtà di metalli, e non sono poi così rari, sono invece rari i giacimenti abbastanza grandi e concentrati da consentire l’attività estrattiva.
La Cina soddisfa il 97 per cento del fabbisogno mondiale di terre rare è può fissare i prezzi e controllare l’offerta nei mercati internazionali. Baotou è la più grande città industriale nella Mongolia Interna ed è uno dei maggiori fornitori al mondo di terre rare. Questi minerali hanno giocato un ruolo decisivo nell’esplosiva crescita economica della Cina negli ultimi decenni.
Baotou, riferiscono i testimoni, sembra una città di frontiera, simile a quelle che sorgevano il secolo scorso nell’epoca della corsa all’oro. Nel 1950, prima che iniziasse l’estrazione intensiva, la città aveva una popolazione di 97mila abitanti, oggi sono oltre due milioni e mezzo. L’impatto ambientale che la “corsa alle terre rare” ha avuto sulla città è dolorosamente evidente.
Il complesso della Baotou Steel Rare-Earth sembra fondersi con la città, lunghi tubi sbucano dalla terra e corrono lungo strade e marciapiedi e le vie sono costantemente percorse da enormi camion. Quando piove le pozzanghere e i rigagnoli che si formano sono neri come la pece, tinti dalla polvere di carbone che pervade ogni cosa e l’aria è intrisa dell’odore dello zolfo. L’orizzonte è frastagliato da grattacieli, mega-parcheggi, tralicci elettrici e dalle torri fiammeggianti della raffineria.
Molte terre rare, come il neodimio e il cerio, sono in realtà abbastanza comuni ed equamente distribuite in tutto il mondo. In Cina si trova solo il 30 per cento dei depositi mondiali di neodimio eppure ne produce il 90 per cento utilizzato dal mercato globale. Come si spiega questa discrepanza?
Con l’alta tossicità e pericolosità dei processi di estrazione e lavorazione di questi minerali che generano una grande quantità di rifiuti tossici. La Cina è dunque leader mondiale del settore non tanto per una maggiore ricchezza mineraria, quanto per un minor timore delle gravi conseguenze sanitarie ed ambientali che questo settore comporta.
Il contrasto è acuito dal fatto che le terre rare non servono solo a produrre elettronica da consumo, sono anche necessarie per alcune tecnologie verdi come le turbine eoliche e le auto elettriche. Le grandi aziende che producono dispositivi high-tech propongono con regolare costanza prodotti sempre più evoluti, rendendo nel giro di qualche mese obsoleti i dispositivi precedenti e incoraggiando una continua corsa alla novità.
Eppure tutto questo ha un prezzo, che viene scontato lontano dai nostri occhi, in aree remote del pianeta, come Bautou.
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