Cambiamenti climatici e impatto sull’habitat impongono di ripensare la vita in montagna. E il turismo, che resta un grande volano economico.
Land grabbing in Africa, il caso del Madagascar
Il land grabbing in Africa ha conosciuto e vive diverse fasi. Il caso del Madagascar, però, è emblematico e fa capire quali sono gli effetti sulla popolazione locale.
Il Madagascar è uno stato del continente africano che ospita una biodiversità ricca e unica al mondo. La posizione isolata ha fatto sì che sul suo territorio si sviluppassero specie viventi che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Il fenomeno del land grabbing, l’accaparramento delle terre per far spazio a un’agricoltura intensiva, ha quindi causato momenti di grande tensione nel Paese dove si sono verificati alcuni degli episodi più controversi e studiati al mondo. Come il caso Daewoo Logistics Corporation del 2008 e il caso Tozzi Green del 2012.
Dall’eredità delle terre al land grabbing in Africa
Fino agli inizi del Novecento, le comunità locali vivevano sfruttando la terra con rispetto, per lasciarla in eredità alle generazioni future nelle stesse condizioni in cui l’avevano ricevuta dalle precedenti: “Le famiglie vantavano i loro diritti terrieri per via ereditaria e, in caso di contestazione, le autorità locali intervenivano per risolvere la lite”, scrive Liliana Mosca, professoressa del dipartimento di Scienze politiche e giuridiche dell’Università degli studi di Napoli. Nello studio pubblicato sulla rivista Economia & Diritto agroalimentare nel 2013, Mosca ricorda che “con la colonizzazione si è andata affermando la proprietà privata, la quale era riconosciuta ai singoli sulla base dei titoli in loro possesso”.
Dopo l’indipendenza, i governi che si sono succeduti hanno continuato questa politica, avviando riforme che, pur riconoscendo alle comunità indigene il diritto di eredità sulle terre, ha anche lasciato spazio allo Stato e agli investitori privati, soprattutto stranieri, di “conquistare” terreni sottraendoli a contadini e pastori locali.
Il caso Daewoo Logistics Corporation
La società sudcoreana nel 2008 ha tentato di sfruttare questa possibilità cercando di accaparrarsi 1,3 milioni di ettari di terre per produrre grano e olio di palma.
Quando la notizia dell’accordo ha iniziato a circolare sui mezzi d’informazione malgasci e internazionali, il malcontento della popolazione ha cominciato a salire, soprattutto perché non erano chiari i dettagli dell’operazione: “Col passare del tempo, l’attenzione e le proteste diventarono sempre più forti e la ventilata cessione della terra degli antenati finì per diventare un’aperta condanna del governo malgascio e del presidente Marc Ravalomanana”, scrive Mosca.
L’8 marzo 2009 le proteste hanno portato alla caduta del governo. Al posto di Ravalomanana è andato al potere Andry Rajoelina, l’allora sindaco della capitale Antananarivo. Uno dei suoi primi atti è stato l’annullamento dell’accordo con la Daewoo. Secondo Mosca l’episodio ha “fatto venir meno molti progetti” di land grabbing, “più della metà riguardavano investitori stranieri. Quelli che sono andati avanti, per lo più erano destinati alla coltivazione di jatropha”.
Il caso Tozzi Green
“Non sappiamo nemmeno cosa sia la jatropha” racconta un abitante del villaggio di Ambararatabe, nella municipalità di Satrokala, abitata dall’etnia Bara che vive grazie alla pastorizia e all’allevamento di zebù. La sua storia è raccontata nel documento Assalto alla terra! pubblicato da Re:Common, un’associazione che lavora per contribuire a migliorare la politica agricola della Banca Mondiale del 2008 che ha dato via libera a questo tipo di investimenti.
“Dalla coltivazione della jatropha non deriva alcun beneficio per noi” ha detto un altro abitante. Eppure è proprio la coltivazione di questa pianta il motivo dell’accaparramento di terra compiuto da parte di un’altra società, questa volta italiana, che si chiama Tozzi Green, sussidiaria del comparto rinnovabili della Tozzi Holding Group. Il contratto è stato firmato nel 2012 e prevede l’affitto per 30 anni di 6.558 ettari. L’obiettivo finale è arrivare a 100mila ettari entro il 2019.
La jatropha viene usata per produrre biocarburanti destinati ad alimentare centrali a biomasse. Nel rapporto di Re:Common si legge che le piantine di jatropha “sono sparse su un’area molto vasta. Troppo vasta per permettere agli zebù di muoversi come facevano prima”. E l’ingresso delle mandrie nei campi comporterebbe il pagamento di multe troppo salate per i pastori che ora hanno timore anche solo a passare vicino a quei terreni.
Verso un sistema alimentare sostenibile
Questi due esempi di land grabbing in Africa mostrano chiaramente quali siano i problemi causati da una politica agricola senza regole, dal rischio di un calo dell’occupazione e della produzione di cibo ad uso locale alla trasformazione di sistemi economici e sociali che hanno funzionato per decenni. Come conclude Liliana Mosca è giunto il momento di “prendere coscienza dell’urgenza di spronare il mondo della politica, delle istituzioni, delle imprese, della società civile a ripensare l’attuale sistema di sviluppo economico mondiale da sempre collegato a quello alimentare”. Una trasformazione che possa rispondere alle esigenze ambientali e alla domanda di cibo in costante crescita, ma non a spese di un Paese, come il Madagascar, e i suoi abitanti.
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