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Con 315 chilometri di nuove autostrade le giunte della Regione Lombardia di Formigoni prima e quella di Maroni poi progettano un futuro di asfalto per le campagne lombarde. Vecchi progetti che sembravano ormai accantonati sono stati riesumati – attraverso il Programma regionale della mobilità e dei trasporti (Prmt) – tra cui la Cremona-Mantova, la Broni-Mortara, la Valtrompia, la Tirreno-Brennero, la Pedemontana,
Con 315 chilometri di nuove autostrade le giunte della Regione Lombardia di Formigoni prima e quella di Maroni poi progettano un futuro di asfalto per le campagne lombarde.
Vecchi progetti che sembravano ormai accantonati sono stati riesumati – attraverso il Programma regionale della mobilità e dei trasporti (Prmt) – tra cui la Cremona-Mantova, la Broni-Mortara, la Valtrompia, la Tirreno-Brennero, la Pedemontana, l’interconnessione Pedemontana-Brebemi alle quali si aggiungono la Toem (Tangenziale ovest esterna Milano) e le già realizzate Brebemi e Teem (Tangenziale est esterna Milano). L’attuale rete autostradale si estende per 700 chilometri. Significa che la Regione ha pianificato un aumento quasi del 50 per cento.
Come fa la Regione a finanziare tutte queste opere? Ma sopratutto, sono utili? Alla seconda domanda risponde il flop dei risultati dei progetti da poco realizzati, ovvero Brebemi, Pedemontana e Teem. 1.600 ettari di suolo persi per 182 chilometri di autostrada sui quali viaggiano appena tremila veicoli all’ora per una spesa di 5,2 miliardi di euro. A perderci è lo Stato. Le opere, infatti, sono state realizzate in project financing – modello che verrà utilizzato anche per le prossime – per cui le banche anticipano i soldi ai costruttori mentre lo Stato rimane a garante fino all’ultimo anche se il rientro dell’investimento non dovesse portare i frutti attesi. Un rischio di impresa pari a zero, come spiega Roberto Cuda, autore di Anatomia di una grande opera. “Il concessionario non vive un rischio vero e proprio perché se le cose vanno male alla fine interviene lo Stato, che ha già messo 320 milioni di euro, oltre i 330 per la Teem: la somma è 750 milioni, la metà di ciò che servirebbe per sistemare l’intera rete ferroviaria lombarda“.
E intanto a farne le spese è proprio chi da quelle terre trae sostentamento e lavoro: gli agricoltori. Sono 1.779 le aziende interessate dalle autostrade finora costruite e di queste l’80 per cento sono aziende agricole.
Non stiamo parlando di un territorio fermo agli anni Sessanta. Oggi ci sono almeno dieci volte le aziende agricole di 50 anni fa, che si sono espanse, si sono specializzate e che rischiano di perdere l’unica loro fonte di reddito, ovvero il terreno fertile. “Nel momento in cui il suolo viene cementificato, esso perde la sua capacità generativa per sempre“, spiega Paolo Pileri, docente di pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano e autore del libro Che cosa c’è sotto. “Le espansioni urbanistiche non tengono in considerazione il bilancio alimentare delle terre che andranno cementificate. La Lombardia ha cementificato nel giro di 25 anni un’area di terreno fertile capace di soddisfare il bisogno alimentare di 1,3 milioni di abitanti, parliamo di più di 200mila ettari. Così oggigiorno solo quattro province lombarde su dodici sono in grado di soddisfare la richiesta alimentare dei propri abitanti. Le altre hanno dissipato il proprio patrimonio agricolo e sono costrette a soddisfare la propria domanda per mezzo delle importazioni”.
Per non parlare di acqua e CO2. Il suolo non equivale solo alla produzione di cibo ma anche all’assorbimento dell’acqua: un ettaro di terreno non costruito è capace di assorbire e poi rilasciare gradualmente fino a 3.750 tonnellate di acqua; ci vorrebbero 120 box auto per contenere tre milioni di litri ma solo un ettaro di terra per assorbirli e smaltirli naturalmente. Consumare 4.271 ettari l’anno (l’attuale ritmo) in Lombardia significa spendere risorse per gestire 16 miliardi di litri di acqua. Così per la CO2: il terreno ha la capacità di trattenere nel suo primo sottilissimo strato tre volte la quantità di CO2 di quella presente nell’atmosfera. Se per compensare la CO2 non trattenuta applicassimo il protocollo di Kyoto la Lombardia dovrebbe pagare otto milioni di euro l’anno.
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