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Da Lugano una possibile cura per l’Hiv e una soluzione per l’amianto nell’acqua
All’High-Tech for Peace Foundation Forum un’intera giornata con ricercatori e scienziati di fama mondiale, riuniti per mostrare come tecnologia e scienza possano lavorare per costruire la pace e il benessere.
Trovarsi in una sala con alcuni dei migliori scienziati e ricercatori del mondo non è cosa di tutti di giorni. A Lugano, per un fine settimana, è stato possibile, grazie al High-tech for Peace Foundation Forum. L’evento, organizzato dall’omonima fondazione, ha visto la partecipazione di personalità riconosciute in tutto il mondo per le loro ricerche su acqua, genetica, energia, medicina.
“Il primo obiettivo del Forum è quello di promuovere l’uso della tecnologia per risolvere i problemi che affliggono l’umanità”, ha spiegato Daniel Levi, presidente della Fondazione. “Il secondo è quello di creare un network, perché molte delle cose che sono state raccontate qui non sono conosciute”.
Le risorse naturali come base per la pace globale
Può essere riassunto così l’intervento del dottor Michele Gentile, economista e fondatore della G&L consulting. Un intervento concentrato sui paradossi dell’economia di oggi, dove la crescita infinita si oppone alla conservazione delle risorse naturali. “Per arrivare alla pace abbiamo bisogno di un benessere umano equo, a sua volta legato indissolubilmente alle risorse naturali”, ha sottolineato Gentile dal palco del Forum. “La crescita infinita ha prodotto delle interazioni talmente negative con la biosfera, che ha degradato e ridotto i servizi dell’ecosistema per le future generazioni”. Il Pil che non misura il benessere, ma la ricchezza, che crea profonde spaccature nella società. “Dobbiamo ritrovare il senso della misura, l’etica. Altrimenti economia e scienza non porteranno a nulla”.
L’acqua è in pericolo. Causa amianto
Ad aprire la sezione l’intervento del professor Oleg Primin, del governo della Federazione russa, incentrato sulla gestione dell’acqua in Russia e in particolare nella capitale Mosca, dove la rete deve soddisfare la richiesta di 15 milioni di cittadini. “In Russia abbiamo molte risorse disponibili, tanto da essere al secondo posto dopo il Brasile per l’acqua”, ha spiegato il professor Primin. “Però questa non è uniformemente distribuita: l’85 per cento si trova nei bacini a nord, mentre la maggioranza della popolazione si trova a sud”. La risorsa in questo caso deve essere gestita in maniera oculata, in quanto la rete, ormai obsoleta, perde il 18 per cento di quello che trasporta. Numeri enormi.
Ed è proprio della vetustà della rete idrica che si occupa in qualche modo il dottor Isidoro Giorgio Lesci, chimico e ricercatore dell’Università di Bologna, che da tempo studia la presenza di amianto nell’acqua pubblica. L’amianto è stato utilizzato, ed è presente ancora oggi, in miliardi di chilometri di rete idrica. Non solo in Italia. E oggi, dopo decenni di studi, si è dimostrato come le fibre vengano disciolte in acqua e come queste, ad elevate concentrazioni, siano correlate all’insorgenza di alcuni tipi di cancro.
Nonostante la situazione non sia ancora certa: “Gli ultimi studi stanno facendo emergere le correlazioni tra alcune patologie, l’esposizione e ingestione delle fibre e lo sviluppo della malattia”, ha spiegato Lesci, avvicinato dopo la conclusione dell’intervento. “Purtroppo sono malattie con uno sviluppo molto lento, difficili da monitorare. È ora di realizzare uno studio serio per fare un quadro sanitario ed ambientale”. Un problema reale, di cui si parla ancora troppo poco. Tanto che le prime ricerche del chimico sono partite da un sollecito della popolazione di Carpi, dopo il terremoto del 2012 e la conseguente rottura delle tubature dell’acqua. Da qui il ricercatore ha brevettato una tecnologia in grado di filtrare anche le più piccole particelle del minerale. “Come tecnico ho sviluppato questo sistema relativamente semplice in grado di filtrare tutte le fibre di amianto, anche le più piccole particelle intorno ai 40-50 nanometri”, ha sottolineato Lesci.
Prof. Khalili explain his gene editing for elimination of #Hiv #Aids, really new hope for human diseases. pic.twitter.com/9rSwBI38yB
— Rudi Bressa (@RudiBressa) 27 maggio 2016
La genetica per sconfiggere malaria ed Hiv
L’intervento che forse ha più attirato l’attenzione è stato quello del professor Kamel Khalili, dell’Università di Temple di Filadelfia. Tramite quello definito come “editing genomico”, il team di ricerca di Khalili è riuscito ad eliminare il virus dell’Hiv dal genoma umano, una volta che quest’ultimo entra nelle cellule inserendosi nel DNA cellulare. Una scoperta importantissima, che oggi sta passando alla fase clinica. “Non solo è affascinante la scoperta, ma anche la tecnologia che c’è dietro”, ha dichiarato Levi. “La stessa utilizzata da Gantz per combattere la malaria andando a modificare la zanzara che lo trasmette”.
Infatti il giovane ricercatore italiano Valentino Gantz, dell’Università della California, ha messo a punto un sistema di editing genetico in grado di neutralizzare la trasmissione del parassita che provoca la malaria. In questo caso la zanzara viene modificata geneticamente in modo tale che, al momento della puntura, il parassita non possa essere trasmesso. Nel giro di poche generazioni, la malattia verrebbe debellata, perché non più trasmissibile da zanzara a uomo.
Evidentemente a questo punto sorgono tutte le implicazioni del caso. Quali sono i limiti di questo tipo di tecnologie? Dove deve intervenire l’etica? La risposta la dà Levi: “È ovvio che nessuna scoperta nasce maligna, è l’uso che se ne fa. Per questo l’umanità deve fare un salto di qualità, un’evoluzione vera nel sapere utilizzare quello che scopre”.
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