Svetlana Aleksievič è stata insignita del premio Nobel per la Letteratura nel 2015 per aver raccontato gli episodi più tragici dell’Unione Sovietica, a partire dall’incidente nucleare di Chernobyl. La nostra intervista esclusiva.
L’uomo peggio delle radiazioni. Lupi, alci e caprioli tornano a Chernobyl
A 30 anni dall’incidente alla centrale la natura è tornata, più abbondante. A dimostrazione che le attività umane possono essere peggiori delle radiazioni.
Cosa c’è di peggio di un disastro nucleare? Probabilmente poco o nulla, almeno nel nostro immaginario. Pensiamo naturalmente a Chernobyl, e più recentemente a Fukushima. In entrambi i casi entrambi gli avvenimenti sono però serviti all’uomo per valutare “sul campo” gli effetti a lungo termine di un incidente nucleare.
Certo non è una novità quella del ritorno della natura e degli animali nell’area di esclusione interdetta alla presenza umana (Cez) e nella foresta adiacente a Chernobyl. Grazie agli studi decennali dell’ucraino Sergey Gashchak, sono molti gli avvistamenti e le testimonianze fotografiche di mammiferi che sono tornati a ripopolare l’area. E no, non hanno due teste o altre deformazioni evidenti.
Orsi, lupi, linci ma anche cinghiali, cervi, caprioli, alci. A 30 anni dal disastro al reattore la vita sembra essere tornata, e più abbondante di prima. È quanto confermato anche da una recente ricerca pubblicata su Current Biology dal titolo “Long-term census data reveal abundant wildlife populations at Chernobyl” che dimostra come “non ci sia correlazione tra i livelli di contaminazione e le tracce di animali”.
“È molto probabile che gli animali selvatici a Chernobyl siano molti di più di quelli presenti prima dell’incidente”, precisa Jim Smith, coordinatore dello studio che lavora per l’Università di Portsmouth, nel Regno Unito. “Ciò non significa che le radiazioni siano una cosa buona per la fauna selvatica, ma solo che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori”.
Certo, dopo il 1986 e i conseguenti alti livelli di radiazioni, le popolazioni di fauna selvatica erano drasticamente diminuite. Ora le evidenze scientifiche dimostrano che, ad esempio, “il numero di lupi che vive dentro e vicino il sito di Chernobyl è sette volte maggiore di quello presente nelle altre riserve”.
“Questi risultati dimostrano per la prima volta che, indipendentemente dai potenziali effetti delle radiazioni sui singoli animali, la zona di esclusione di Chernobyl ospita un’abbondante comunità di mammiferi dopo quasi 30 anni di esposizione cronica alle radiazioni”, concludono i ricercatori.
Ancora una volta c’è di che riflettere. La capacità di Homo sapiens di influire sui meccanismi di regolazione degli ecosistemi continua a essere troppo elevata. “Ho lavorato, studiato, e scattato foto della meravigliosa fauna nella zona di Chernobyl per oltre 20 anni e sono molto contenta che il nostro lavoro stia raggiungendo un pubblico scientifico internazionale”, ha dichiarato Tatiana Deryabina del State Radioecological Reserve in Bielorussia, a pochi chilometri dall’area dell’incidente. Ecco la dimostrazione pratica della parola “resilienza”.
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