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Marco, lei è un apicoltore per passione, ma il suo primo lavoro è un altro. Ci può raccontare da cosa nasce questa passione? Tutto è nato una decina di anni fa quando ho incontrato un signore, un apicoltore di 70 anni che mi ha introdotto agli strumenti del mestiere e mi ha fatto capire come
Marco, lei è un apicoltore per passione, ma il suo primo lavoro è un altro. Ci può raccontare da cosa nasce questa passione?
Tutto è nato una decina di anni fa quando ho incontrato un signore, un apicoltore di 70 anni che mi ha introdotto agli strumenti del mestiere e mi ha fatto capire come funziona questo mondo meraviglioso. Grazie a lui ho deciso di seguire una serie di corsi per imparare una professione che non c’entra nulla con il mio lavoro. Io lavoro in banca. Però il mio tempo libero è dedicato alle api.
Per il futuro spera di poter trasformare questa passione in lavoro?
Ci ho pensato seriamente. Non lo escludo, però il mio lavoro “ufficiale” mi piace e lasciarlo per qualcosa di molto rischioso è una scelta dura da fare. Il lavoro di apicoltore ha una volatilità davvero alta. Faccio un esempio: il miele di acacia si produce nel mese di maggio e la fioritura dell’albero dura circa tre settimane. Lo scorso anno a maggio ha piovuto per 22 giorni. Quindi è facile immagine quanto miele di acacia è stato possibile produrre. In ogni caso continuo a non escludere che un giorno possa diventare il mio lavoro.
Molte notizie di attualità fanno riferimento ai pesticidi neonicotinoidi. Che effetti hanno sulle api? Anche questo è un fattore di rischio?
Personalmente non mi è capitato un caso di moria di api eclatante, per fortuna. Sono sempre stato attento a scegliere zone (provincia di Milano, ndr) al riparo da questo tipo di problemi, ma ad altri colleghi è successo di giungere presso l’apiario e constatare il decesso di un numero elevato di api. È scientificamente provato che a causa di trattamenti legati all’agricoltura, si verificano fenomeni di moria e non sono rari i casi di apicoltori che si sono ritrovati con le arnie semivuote. Per fortuna, ora in Europa c’è una moratoria su questi pesticidi. Una soluzione sarebbe praticare un’agricoltura di tipo biologico. Un altro problema grosso è costituito dalla perdita di habitat, ovvero dalla riduzione del territorio in cui le api possono impollinare perché le città si stanno espandendo a macchia d’olio.
Parliamo del ruolo dell’apicoltore. Sono in molti a chiedersi se e quanto sia importante l’intervento dell’uomo all’interno di un meccanismo perfetto per natura.
Il primo nemico delle api è l’uomo. Ma l’apicoltore non è responsabile della moria perché il suo ruolo è mettere le api nelle condizioni di produrre miele in quantità superiore rispetto al normale. La parte che viene “sottratta” è solo quella eccedente, quella che non userebbero. Non si può togliere alle api più miele di quello che serve loro per sopravvivere all’inverno. Tra l’apicoltore e le sue api si crea un equilibrio, una simbiosi. Questo è il suo vero ruolo: proteggerle.
E del regno delle api. Quali e quanti sono i ruoli all’interno di un’arnia?
L’ape operaia quando nasce, nei primi giorni di vita, si occupa solo di fare le pulizie nell’arnia. Poi passa ad occuparsi del nutrimento delle larve, i piccoli. Quando diventa un po’ più grande ha il compito di stoccare il miele nell’alveare, poi di uscire per procacciare il nettare. Alla fine, nell’ultima fase della sua vita diventa guardiana. C’è una vera e propria evoluzione dei ruoli in base all’anzianità e in base all’esigenze.
Qual è il più importante?
La più importante è l’ape regina, che è una sola. È la mamma di tutte le api e si occupa solo della riproduzione. I fuchi, invece, sono i maschi della famiglia e hanno un ruolo meno preciso, ma più vicino al controllo e all’areazione.
Quale quello più curioso?
Un ruolo particolare è quello di alcune api che, durante un determinato periodo dell’anno, hanno il compito di asciugare il miele. Per farlo si mettono a sbattere le ali per creare lo spostamento d’aria utile a ridurre l’umidità e regolare la temperatura.
Esiste una relazione tra l’apicoltore e le sue api? Nel senso, ci si affeziona? O addirittura, riconoscono il suo arrivo?
Mi piacerebbe dire di sì, ma non è così. Anche se l’affetto c’è. Io alle mie api ci tengo tantissimo, ma purtroppo non credo che mi riconoscano. Ci sono famiglie di api che sono più aggressive di altre o ci sono momenti meteorologici in cui è meglio non andare a visitarle, ad esempio quando piove o c’è vento. Quindi ci sono differenze di comportamento tra api, ma non ci sono differenze legate al rapporto con l’apicoltore. Mi piacerebbe dire che mi riconoscono, io ogni tanto ci parlo anche, ma – ahimè – non è così.
Com’è nata la collaborazione con Bee my Future e cosa l’ha spinta ad accettare la sfida di LifeGate?
L’incontro di Apam (l’Associazione produttori apistici della provincia di Milano di cui fa parte Zucchetti, ndr) con LifeGate è stato inatteso, ma da subito è stato chiaro che entrambe le realtà volevano fare qualcosa di concreto per le api. Così abbiamo trovato la forma più adatta per realizzare la collaborazione. Quello che è nato dopo ha il grande vantaggio di essere replicabile, un modello mai visto prima di apicoltura su piccola scala vicino alle città. Abbiamo dimostrato che si può conciliare la nostra esistenza con quella delle api.
Anche l’apicoltura può essere biologica?
Purtroppo non possiamo ancora parlare di apicoltura biologica, specie in città, perché dovremmo essere sicuri che le api vadano a bottinare, cioè a raccogliere il nettare in una zona coltivata solo secondo i principi del biologico. Però ci impegniamo direttamente a non usare nulla di chimico o di trattato. E con questo vogliamo dimostrare che le api possono vivere una vita di qualità anche ai bordi delle città. E ci stiamo riuscendo. Perché dalle api dipende anche la nostra alimentazione.
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