I dati emersi dall’ultimo rapporto Ismea, l’ente pubblico che analizza il mercato agro-alimentare, ci obbligano a riflettere sul costo del cibo e su come buona parte del prezzo pagato non arrivi agli agricoltori.
Ornella Pesenti, Breading: panettieri e associazioni insieme contro lo spreco di pane
Di fronte alle impensabili, inaccettabili, indigeste cifre dello spreco di pane in Italia, Ornella Pesenti ha deciso di lavorare in Breading, una startup che si propone di combatterlo, di ridurlo, di azzerarlo. Il pane innanzitutto perché è il cibo per eccellenza, un prodotto ricco di significati simbolici e, purtroppo, in tempi di crisi è un pasto pronto
Di fronte alle impensabili, inaccettabili, indigeste cifre dello spreco di pane in Italia, Ornella Pesenti ha deciso di lavorare in Breading, una startup che si propone di combatterlo, di ridurlo, di azzerarlo. Il pane innanzitutto perché è il cibo per eccellenza, un prodotto ricco di significati simbolici e, purtroppo, in tempi di crisi è un pasto pronto e maneggevole per moltissime persone indigenti. Si è pensato di valorizzare la dimensione di prossimità, facendo incontrare ‘di persona’ le associazioni di volontariato con gli esercenti e consentendo alle Onlus il ritiro ‘a piedi’ sia per abbattere le spese, sia nel caso non dispongano di furgoncini o altri veicoli.
Ecco cos’è Breading, come funziona oggi e, secondo Ornella Pesenti, cosa si ripromette di fare domani, insieme a panettieri e associazioni di volontariato.
Partiamo dalle cifre. Ogni giorno in Italia si producono 72mila quintali di pane. Se ne buttano via, ogni giorno, 13mila. La Caritas romana spende 90mila euro all’anno per il pane in tre mense, e a Roma se ne gettano 200 quintali al giorno. Con l’invenduto quotidiano di dieci panettieri si sfamano 600 persone.
Questi sono in realtà i dati più interessanti, poiché se si vuole mettere insieme anche i dati dei privati è piuttosto complesso lavorarci in una app. Non si riesce a controllare quelli che sono gli avanzi dei privati a livello di scadenze, mentre i servizi pubblici sono molto più controllati.
Perché avete scelto e individuato il pane come cibo da salvare, prima, rispetto ad altri? Per la sua forza iconica, o perché davvero è facile da trasportare, è leggero, per le sue proprietà nutrizionali, per la speranza di un accordo con la potente lobby (buona) dei panificatori?
Il pane in Italia ha una grossa forza a livello iconico soprattutto per la grossa fetta di popolazione di religione cattolica, come tu mi suggerisci. Ma non è questo il vero motivo. A seconda della località geografica in cui ci spostiamo, troveremo un pane dalla consistenza e forma differente, tipico della zona che stiamo visitando. Se ti chiedo, per esempio: quale è il pane tipico francese, dimmi, cosa ti viene in mente? Dimmi invece quanti sono i pani che possono rappresentare l’Italia nella sua pienezza! Pensa che qualche tempo fa abbiamo fatto un paio di conti e la Germania ha tanti panifici quanti ne ha la Lombardia! Insomma, direi che in Italia sicuramente il panificio svolge un ruolo fondamentale. Non solo con il pane ormai, ma con focacce, pizze e tutto ciò che riguarda il mondo dei carboidrati. Non è nostro interesse un accordo con la potente lobby dei panificatori, bensì accordarci con i singoli panificatori, che già oggi, senza di noi, mettono fuori dalle loro porte gli avanzi della giornata ancora commestibili per chi non ce la fa ad arrivare a fine mese. L’importante è aiutarsi e tornare ad essere comunità.
Lo spreco di cibo ci urta su diversi valori, anche etici. Quali avete percepito, anche a livello personale, più brucianti, spingendovi a studiare una soluzione digitale? Il contrasto alla povertà, l’etica della ridistribuzione, la sostenibilità ambientale…
La nostra età media è davvero bassa – 25 anni. Io sono la più vecchia, ma questo non lo diremo a nessuno! Quando abbiamo guardato alle nostre esperienze fatte in associazioni, ci siamo accorti che mancava loro tutta la parte digitale. Molte non sono online, eppure tutti quanti ormai hanno un cellulare in tasca. E allora perché non creare un processo che rendesse questo strumento utile anche alle associazioni e agli associati?
Ci può fare il film – schematicamente – di come funziona? Uno, ho l’app. Due, so che mi avanza pane, clicco e… cosa succede?
So che sono la più vecchia, ma vi faccio il film se mi dà del tu… Dicevamo quindi: per ora abbiamo creato una WebApp, disponibile per tutti i device, Android, Apple, BlackBerry. Significa che già oggi per accedere a Breading dovrò semplicemente digitare Breading.Foundation ed iscrivermi alla piattaforma, come associazione o come panificio. Se sono un panificio e mi avanza il pane, indico due ore prima dell’orario di chiusura quanti kg mi sono avanzati. Se sono invece una associazione, dopo essermi iscritta, darò una quantità di km entro i quali posso andare a ritirare il pane; dopodiché riceverò le notifiche dei panifici che, iscritti a Breading, mettono a disposizione il loro pane.
Quanti punti di ritiro potenzialmente, tra panetterie e aziende, potrebbero esserci in Italia?
Be’, paradossalmente tutti i panifici, circa 17.000 panifici, e tutte le associazioni che operano nel campo dell’assistenza sociale (circa 12.000) e della sanità (circa 9.000). Nonostante il numero sia in calo costante da molti anni e le associazioni non siano di grandi dimensioni, la parte umanitaria è quella che rappresenta la fetta più grande del volontariato in Italia secondo una ricerca di Ibm.
Ok, si va a prendere il pane, ma se invece non viene assegnato? È previsto un meccanismo per utilizzare il pane non assegnato entro la giornata?
Purtroppo se il pane non viene assegnato durante la giornata, in questa prima fase non può avere seguito. Stiamo elaborando una seconda fase della app dove il pane potrebbe andare a servire per esempio delle fattorie, ma queste dovrebbero comunque andarlo a ritirare entro le 24 ore e il panificio dovrebbe assicurare di avere un magazzino per tenerlo.
Insomma, dobbiamo aspettare di terminare la fase uno e capire come reagiscono i panificatori.
Vi è stata da poco consegnata la ‘beta’, che cosa vuol dire?
La beta è una versione della applicazione che funziona sì, ma in modo molto molto primitivo. In questo momento alla nostra beta addirittura mancano ancora anche le grafiche. Ci sono i campi per iscriversi, la possibilità di entrare come associazione e come panificio, capire con delle note le parti che non sono chiare. Ma senza grafica è un po’ come vedere un sito che facevo io nel 1998, pur essendoci nascosto un immenso lavoro!
La vostra rassegna stampa è già notevole (anche sul magazine ufficiale di Expo 2015…). Potete confermare che la comunicazione è una parte essenziale per la riuscita di un progetto come il vostro? O serve di più, che so, il contatto istituzionale, la competenza tecnologica, la politica?
Come dicono i famosi Al e Laura Ries, le piccole imprese devono costruire il proprio brand con le Pr. Il nostro problema è stato purtroppo quello di ricevere una marea di rassegna stampa il primo anno, quando ancora non eravamo nemmeno una società e non riuscivamo a trovare persona alcuna che ci aiutasse con la programmazione della app, mentre ora siamo fermi onde evitare di dare tempi diversi da quelli della vera uscita. I contatti istituzionali e la politica possono servire per uscire sempre sui giornali, ma non migliorano la condizione della startup. Per quanto mi riguarda invece, se tornassi indietro, troverei subito nel gruppo qualcuno che davvero sa programmare e che vuole fare parte del progetto.
Quanto è stato utile il supporto di Fondazione Vodafone e in che cosa è consistito?
Fondazione Vodafone ci ha supportati con un grant di 30.000 euro. È stata una esperienza magnifica e ci ha permesso di portare a termine quel che avevamo iniziato con la programmazione dell’app. Ci ha permesso di mettere a fuoco le idee che prima avevamo solo in testa, le abbiamo scritte su carta e ora sappiamo la strada che dobbiamo perseguire per raggiungere i nostri obiettivi.
Da lavoratori in una startup, cosa vi sentite di dire, di condividere come esperienza con chi ha un’idea brillante, e che vorrebbe realizzare? Quali forze avete unito, cosa bisogna fare, e cosa bisogna… ‘non’ fare?
Chiunque entri in una startup deve essere consapevole che i lavori da fare sono sempre molteplici e mai uno solo. Purtroppo non si può pensare inizialmente di restare dentro quel binario, si deve fare girare tutti insieme il motore del treno ed imparare a fare tutti i lavori. Anche perché sono i soci gli unici che credono alla società inizialmente e dunque è importantissimo fare girare il motore nella stessa direzione.
Una volta che l’app verrà lanciata dovremo ricominciare a macinare chilometri (anche virtuali) per contattare associazioni e panificatori. Per noi sarà fondamentale avere il loro supporto, altrimenti il progetto di Breading cadrà nel vuoto.
E, se sognate uno sviluppo successivo di Breading, quale potrebbe essere?
Il nostro primo step successivo sarà quello di dare la possibilità a soggetti esterni alle associazioni, come pensionati o studenti, di donare il loro tempo. Questo permetterebbe alle associazioni che non dispongono di furgoncini o addirittura che non hanno associati con smartphone di avere un supporto esterno. Sarebbe straordinario riuscire inoltre ad arrivare anche all’estero, in tutto quel mondo occidentale che si dichiara sviluppato ma che in realtà ha grossi problemi di indigenza nella sua popolazione.
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