In vista della sfida tra Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa, ripercorriamo i grandi temi aperti in materia di clima.
Perché votare sì al referendum del 17 aprile
Il prossimo 17 aprile il popolo italiano è chiamato ad un voto referendario. E questa è già una prima notizia perché pochi lo sanno e i grandi media ignorano l’argomento. Eppure di cose da dirne ce ne sarebbero vista l’importanza dell’argomento che riguarda sostanzialmente lo sviluppo energetico del futuro del nostro paese. Il referendum infatti riguarderà
Il prossimo 17 aprile il popolo italiano è chiamato ad un voto referendario. E questa è già una prima notizia perché pochi lo sanno e i grandi media ignorano l’argomento. Eppure di cose da dirne ce ne sarebbero vista l’importanza dell’argomento che riguarda sostanzialmente lo sviluppo energetico del futuro del nostro paese. Il referendum infatti riguarderà le trivellazioni o meglio le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare, più precisamente nelle acque territoriali italiane (entro le dodici miglia dalla costa) e il quesito chiede il consenso circa l’abrogazione della previsione per cui le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati entro dodici miglia marine hanno durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale come previsto dalla legge di stabilità 2016, modificando così quanto disposto dall’articolo 35 del decreto sviluppo del giugno 2012. Nonostante le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare, le ricerche e le attività petrolifere già in corso, con l’attuale formulazione della norma, non hanno scadenza precisa.
Un tema molto complesso ridotto ad una singola norma dopo che la Corte di cassazione prima e quella costituzionale poi avevano giudicato inammissibili gli altri cinque quesiti che le nove regioni italiane, promotrici del referendum, avevano opposto alle norme dell’articolo 38 del decreto Sblocca Italia con cui il governo guidato dal primo ministro Matteo Renzi poneva le estrazioni dei fossili al centro del futuro energetico del paese. Uno scontro senza precedenti tra stato e regioni che hanno voluto ribellarsi, spinte dalla pressione delle comunità locali, ad un piano energetico imposto dall’alto che non teneva in alcun conto le istanze territoriali.
Nella legge di stabilità, il governo ha fatto marcia indietro su tutti i fronti lasciando però una singola norma proprio riguardante la durata delle concessioni estrattive. Ed ecco il singolo quesito a cui dovremo rispondere il prossimo 17 aprile: in sostanza si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le dodici miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo e votando sì queste andranno progressivamente a cessare (non dal giorno dopo come qualcuno sta dicendo agitando il fantasma della disoccupazione), ma secondo la scadenza naturale fissata al momento del rilascio delle concessioni.
Ora al netto delle opinioni personali ci sono due considerazioni che credo possano essere condivise: di questo referendum avremmo fatto volentieri a meno se il governo avesse posto un qualsiasi limite temporale alle estrazioni. Certo porre dei limiti temporali vuol dire avere una visione strategica del futuro energetico del paese sapendone indicare priorità, investimenti, politiche. Insomma ci vorrebbe un piano per portare l’Italia fuori dall’era dei fossili e verso un futuro fatto di rinnovabili così come ci siamo impegnati a fare firmando l’Accordo di Parigi al summit della Cop 21. E questo piano è proprio il grande assente e la nostra grande preoccupazione al di là degli esiti referendari. L’altra considerazione riguarda il rapporto tra cittadini e politica: non si può scrivere il piano energetico di un paese a colpi di referendum. Nel 2011 abbiamo respinto la via nucleare ora dobbiamo dire la nostra su trivellazioni ed estrazione di idrocarburi. Un tema complesso che rischia nella semplificazione di assumere toni ideologici, che potrebbe rallentare quel flusso di dialogo e confronto che molto faticosamente in questi anni si è aperto nel mondo industriale sul fronte della sostenibilità e di uno sviluppo sostenibile. Di fronte al silenzio dei mezzi d’informazione e alla complessità dell’argomento è molto chiaro che ci troviamo di fronte ad una sfida simile a quella di Davide contro Golia. Ma noi la accettiamo volentieri innanzitutto perché questa può essere l’occasione per informare i cittadini sui temi energetici legati al futuro industriale ed energetico e poi per ricordare al governo Renzi l’urgenza e l’importanza di dotare l’Italia di una strategia energetica nazionale all’altezza delle sfide attuali e in linea con gli accordi della Cop 21. La nostra fionda sarà il passaparola e il dialogo.
Io voterò si il 17 aprile e lo farò per diversi motivi: innanzitutto la tutela del nostro prezioso ecosistema marino e costiero sui cui le attività di ricerca, di estrazione e di trasporto hanno un impatto rilevante. Proprio su questo ecosistema esiste già un sistema economico consolidato e fiorente fatto di turismo, pesca, beni ambientali e culturali. Voterò sì contro trivellazioni perché ritengo insensato puntare sull’estrazione di gas e petrolio per garantire la nostra indipendenza energetica. Un affare conveniente solo per le compagnie petrolifere che pagano al nostro paese royalties irrisorie. Infine il mio sarà un voto a favore delle energie rinnovabili e soprattutto di un sistema energetico che punti finalmente sul risparmio, sull’efficienza, sull’autoproduzione distribuita. Un sistema fatto oggi di 850mila impianti da fonti rinnovabili presenti nei comuni italiani, che da lavoro a 60mila persone con una ricaduta economica pari a 6 miliardi di euro.
Il referendum per bloccare le trivellazioni non può essere interpretato come una sindrome nimby (not in my backyard, non nel mio cortile) o come la battaglia contro un settore industriale. La nostra vuole essere una forte spinta propositiva verso scelte importanti e coraggiose in materia energetica, non solo a beneficio dell’ambiente e dei cittadini che vorrebbero meno inquinamento, ma soprattutto nei confronti delle migliaia di piccole e grandi imprese che stanno puntando sull’energia pulita o di quei comuni che stanno realizzando dal basso l’autoproduzione e l’indipendenza energetica, creando migliaia di posti di lavoro duraturi e distribuiti su tutto il territorio nazionale. Su questo un ampio fronte di associazioni, imprese, comitati e singoli cittadini si stanno mobilitando: Legambiente e LifeGate ce la mettono tutta per dare il loro contributo in termini di informazione e confronto. Lo ammetto, siamo in piena sindrome nimfu: not in my future.
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