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Mangiare meno carne, solo di qualità e conoscendone la provenienza. Dopo vegetariani e vegani, ecco la nuova dieta per chi proprio non vuole fare a meno dei prodotti di origine animale.
Certo non si tratta di una novità assoluta. Anzi, probabilmente già in molti lo fanno da anni, senza per questo far parte di una categoria, di un gruppo. Si tratta di chi, senza diventare vegetariano o vegano, ha modificato le proprie abitudini alimentari, continuando a consumare prodotti di origine animale. Lo fa però con consapevolezza, sia diminuendo la frequenza, sia scegliendo prodotti di qualità.
È ciò propone Brian Kateman, ricercatore della Columbia University, che però ha dato anche un nome a questo tipo di dieta, ovvero “reducetarianesimo”. Un vero movimento il suo, una sorta di think tank che crescerà sopratutto in rete, tramite i social network e arriverà a quella parte di popolazione raggiungibile attraverso questi canali.
E, dai banchi del TedxCuny, un evento internazionale che seleziona progetti di innovazione, il giovane ricercatore propone la sua idea. Iniziare a ridurre la carne per un mese, entrare a far parte della community e postare immagini e foto delle alternative. La cosa interessante della campagna #lessmeat è che per la prima volta prova ad aggregare quella parte di popolazione che si trova nel “mondo di mezzo” dell’alimentazione, ma che comunque è consapevole ed attenta.
“Abbiamo bisogno di una parola che descriva una comunità di individui che si sono impegnati a ridurre il loro consumo di carne”, ha dichiarato Kateman al Dailymail. “In modo che quet’ultimi possano incoraggiare gli altri a ridurre il loro consumo di mucche, polli, maiali, agnelli, e frutti di mare”.
È un po’ ciò che accade anche con altre iniziative, che cercano di un punto d’incontro tra i vari mondi: ad esempio il mercoledì vegano, o il lunedì vegetariano. Darsi delle scadenze, è certamente un incentivo per chi non vuole o non è pronto alla scelta radicale. Ridurre quindi le porzioni di carne, informarsi sulla provenienza e sulla qualità degli allevamenti e scovare alternative gustose.
Alla fine si tratta di un cambio di mentalità, nemmeno troppo difficile. Con l’unica conseguenza di scoprire una nuova fascia di sapori, di colori e di saper di stare facendo qualcosa di buono per la nostra salute, quella degli animali e infine per quella del pianeta.
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