Uno studio della rete di esperti MedECC e dell’Unione per il Mediterraneo mostra quanto il bacino sia vulnerabile di fronte al riscaldamento globale.
Cosa dicono gli studi sul riscaldamento globale, oggi che la temperatura è già aumentata di oltre 1 grado
Gli studi più recenti sul riscaldamento globale fotografano una realtà preoccupante. Ancor più di quanto previsto dal Quinto rapporto dell’Ipcc del 2014.
“I cambiamenti climatici saranno la causa di insicurezze alimentari crescenti, penurie di acqua potabile, ondate di profughi ambientali e guerre. La probabilità di impatti gravi, estesi ed irreversibili cresce di pari passo con l’intensificazione del fenomeno”. A distanza di tre anni dal 31 marzo del 2014, quando l’Intergovernamental panel on climate change (Ipcc) – il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sull’evoluzione del clima, creato nel 1988 su iniziativa del G7 – rendeva pubblico il suo Quinto rapporto sui cambiamenti climatici, il quadro globale appare ancor più allarmante. È in questo contesto che, dall’8 maggio e fino al 18 i membri delle delegazioni inviate da 196 nazioni di tutto il mondo si sono riuniti a Bonn, in Germania. Obiettivo: tentare di dare attuazione concreta all’Accordo di Parigi, raggiunto al termine della ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 21). Ovvero tentare di limitare la crescita della temperatura media globale a due gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali (cercando di rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi).
Cosa dicono gli ultimi studi sul clima
Un compito per nulla semplice, se si tiene conto delle informazioni che giungono dai principali centri di ricerca internazionali: il National Climatic Data Center (Ncdc) americano, ad esempio, ha fatto sapere che il primo trimestre di quest’anno è risultato il secondo più caldo mai registrato, dopo il record stabilito nello stesso periodo del 2016. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), inoltre, ha reso noto che siamo già arrivati ad un livello di 1,1 gradi superiore rispetto all’era pre-industriale. Dal 2014, poi, le emissioni mondiali di biossido di carbonio (CO2) – tra le principali responsabili del riscaldamento globale – sembrano essersi stabilizzate attorno ai 41 miliardi di tonnellate all’anno. Ma non accennano a diminuire, tanto che la National Oceanic and Atmospheric Administration ha annunciato un nuovo record di concentrazione nell’atmosfera per la CO2: abbiamo superato le 410 parti per milione (un livello che si ritiene non sia mai stato raggiunto negli ultimi due milioni di anni).
Il rapporto Ipcc alla base dell’Accordo di Parigi
Aprendo i lavori della 38esima sessione dell’Ipcc, l’allora presidente dell’organizzazione Rajendra Kumar Pachauri si augurò che “il materiale contenuto nel rapporto possa essere d’aiuto rispetto alla complessa discussione in materia di influenza antropica sui sistemi climatici, in vista dei futuri negoziati internazionali sul clima”. Il documento, in effetti, ha costituito la base per il lavoro diplomatico che, un anno e mezzo più tardi, ha portato proprio all’approvazione dell’Accordo di Parigi. D’altra parte, lo studio del 2014 si presenta come un documento “di riferimento”, estremamente corposo e dettagliato, frutto di un lavoro immenso: basti pensare che, per completarlo, sono state passate al vaglio ben 12mila pubblicazioni scientifiche. Giungendo alla conclusione che senza una correzione di rotta immediata, la crescita delle temperature medie globali sulla superficie delle terre emerse e degli oceani potrebbe arrivare a toccare anche i 4 gradi centigradi alla fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali. Il che equivarrebbe a una catastrofe “alla quale – aveva spiegato il co-presidente dell’Ipcc Vicente Barros – l’umanità non è preparata”, condita da “un rallentamento della crescita”, nonché “dalla creazione di nuove sacche di povertà”.
Conseguenze catastrofiche del riscaldamento globale
A pagare il prezzo di tale sconvolgimento non saranno solamente le popolazioni del terzo mondo: se è infatti evidente il fatto che i paesi vicini all’Equatore, gli atolli negli oceani che verranno sommersi e la regione all’interno del Circolo polare artico saranno quelli più colpiti, anche in Europa le ondate di caldo estremo e i fenomeni meteorologici estremi si moltiplicheranno.
Le conclusioni del rapporto dell’Ipcc possono infatti essere riassunte in alcuni punti, che forniscono una fotografia del mondo attuale e una previsione nei prossimi decenni, qualora l’umanità non agirà in fretta per bloccare la deriva. Innanzitutto l’impatto attuale: l’interferenza tra le attività antropiche e il sistema climatico è già evidente. Gli effetti si manifestano su tutti i continenti e in tutti gli oceani. Le precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacci stanno modificando gli ecosistemi, la produzione alimentare sta cambiando, così come gli habitat e le migrazioni di numerose specie animali. Il rapporto sottolinea in secondo luogo i rischi futuri per il pianeta Terra: una crescita di 4 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali potrà provocare l’estinzione sostanziale di alcune specie, assieme a rischi enormi per la sicurezza alimentare (soprattutto in alcune aree, come confermato da più recenti studi del World Food Programme e della Fao.
Le nuove guerre per accaparrarsi acqua e cibo
A ciò si aggiunge la questione delle riserve di acqua potabile, sia sotterranee che terrestri, che potrebbero prosciugarsi, soprattutto nelle regioni sub-tropicali più secche: a subire le conseguenze più importanti saranno le produzioni di mais, grano e riso (già con una crescita di soli 2 gradi centigradi). Ne farà poi le spese, a ruota, la stabilità internazionale dei prezzi, anche a causa dell’aumento della domanda globale (figlia a sua volta dell’incremento demografico della popolazione terrestre). Si creeranno così nuove sacche di indigenza, in particolare nelle aree urbane, aumenteranno gli esodi di massa e aumenterà concretamente il rischio di conflitti violenti tra nazioni per l’accaparramento di risorse idriche o alimentari.
La crescita del livello dei mari porrà poi numerose aree a rischio inondazioni. Inoltre, in numerose regioni – soprattutto nei paesi in via di sviluppo – le ondate di caldo estremo, la malnutrizione e la contaminazione di acqua e cibo provocheranno un aumento delle patologie e, più in generale, dei problemi sanitari. Un rischio confermato meno di un anno fa dall’Organizzazione mondiale della sanità. La probabilità di arrivare a tale situazione non è d’altra parte remota. Uno studio pubblicato nel 2015 dall’Unep (l’agenzia ambientale delle Nazioni Unite), ha cercato di comprendere quale sia la “traiettoria” attuale della Terra. Basandosi sulle promesse di abbassamento delle emissioni di gas ad effetto serra avanzate dai governi, veniva indicata la possibilità di rimanere al di sotto dei +3,5 gradi centigradi entro il 2100. “E la forchetta potrebbe variare molto: in positivo, virando verso i 3 gradi, ma anche in negativo, tendendo verso i 4”, si legge nel rapporto.
Gli impegni finora assunti, in sostanza, non bastano. Ne sono convinte, d’altra parte, anche le ong ambientaliste, che nel corso della Cop 21 hanno indicato il trend attuale a +3,7 gradi. D’altra parte, era stato lo stesso governo francese, che ospitava la Conferenza, ad ammettere (più ottimisticamente rispetto alle associazioni) che “la traduzione delle promesse dei governi in termini di aumento della temperatura media, indica un riscaldamento globale compreso tra 2,5 e 2,7 gradi centigradi, entro la fine del secolo”.
Mari, poli e barriere coralline gli ecosistemi più esposti
Di fronte a questo quadro di sconvolgimento, secondo l’Ipcc “una larga parte delle specie terrestri e marine rischia di non essere in grado di spostarsi in modo sufficientemente rapido per raggiungere luoghi con climi più adatti alla loro vita”. In particolare, gli ecosistemi più esposti sono quelli marini, soprattutto ai poli e in corrispondenza delle barriere coralline (che, tra l’altro, potrebbero subire fortemente l’impatto dell’acidificazione degli oceani). L’Intergovernamental Panel on Climate Change ha per tutto ciò lanciato un appello ai governi, affinché introducano misure eccezionali per garantire all’umanità l’adattamento di cui ha bisogno. Nel rapporto vengono citati in particolare l’installazione di sistemi di allerta, la creazione di rifugi contro cicloni e inondazioni, la protezione delle coste, lo stoccaggio di acqua potabile, l’introduzione di tecniche di irrigazione ecologiche e di nuove pratiche agricole, nonché l’avvio di nuovi programmi di vaccinazione.
Tali indicazioni saranno aggiornate nel Sesto rapporto dell’Ipcc che, come indicato nel corso della 43esima sessione tenuta nello scorso mese di aprile, sarà pubblicato nella prima metà del 2022. Prima cioè della scadenza definita alla Cop 21 per rivedere gli impegni assunti dai governi di tutto il mondo per limitare la crescita della temperatura media globale a 2 gradi centigradi.
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