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Nonostante le premesse e gli annunci fatti, i paesi che producono più CO2 sono ancora lontani dall’obiettivo di eliminare i sussidi ai combustibili fossili. Eppure sarebbe il modo giusto per rilanciare lo sviluppo economico.
Quale occasione migliore per tagliare i sussidi ai combustibili fossili in tempi in cui i prezzi di petrolio e carbone sono bassi? È dal 2009 che i governi, in occasione del G20 di Pittsburgh, promettono di tagliare gradualmente i sussidi alle fonti fossili per contrastare i cambiamenti climatici, ma ad oggi le misure rimangono ancora insufficienti o addirittura inesistenti.
Il basso prezzo del petrolio — secondo quanto riportato da Bloomberg — è oggi la condizione ideale per ridurre gli incentivi alle fonti fossili. Con il petrolio a buon mercato, i governi possono gradualmente ridurre le sovvenzioni dal lato della domanda senza danneggiare troppo i consumatori. Il rallentamento della crescita economica sul lungo periodo, determinato dalla pressione demografica e da un lento avanzare dell’innovazione tecnologica, rende quanto mai necessario utilizzare le risorse economiche in modo efficiente. Se tali risorse fossero state destinate alla crescita, allo sviluppo infrastrutturale e all’istruzione, sicuramente il processo di ripresa sarebbe a buon punto.
Oggi il tema centrale dell’agenda dei governi è la riduzione della povertà, come indicano gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Tagliare i sussidi ai combustibili fossili per trasferire le risorse economiche in programmi di sviluppo a sostegno dei più poveri dovrebbe quindi essere il primo passo in questa direzione. L’appello arriva anche dal Wwf che chiede al G20 di “affrontare con decisione la questione dei sussidi ai combustibili fossili, che vanno eliminati davvero entro il 2020”.
Il G20 che si è tenuto il 4 e 5 settembre in Cina non ha portato ai risultati sperati e gli impegni di uscita da sistemi di incentivazione dei combustibili fossili sono ancora molto deboli, come si legge nel comunicato ufficiale di chiusura del vertice. I leader si sono limitati ad accogliere positivamente gli impegni presi dai paesi per ridurre i sussidi, ma non definiscono una deadline temporale perché questo avvenga.
Molte nazioni, dagli Stati Uniti al Regno Unito, passando per la Russia, stanno continuando a sovvenzionare grandi progetti di sviluppo per la produzione di petrolio, gas e carbone. In Russia parliamo di almeno 23 miliardi di dollari stanziati ogni anno per agevolare chi produce energia fossile. Sulla stessa linea gli Stati Uniti che, tra il 2013 e il 2014, hanno messo sul piatto circa 20 miliardi di dollari. Giappone, Corea del Sud e Cina stanno finanziando grandi progetti di sviluppo di impianti a petrolio, gas e carbone fuori dai propri confini, con cifre che vanno dai 19 miliardi (Giappone) ai 10 miliardi di dollari (Corea del Sud). Per anni, molti paesi hanno usato i sussidi alle fossili per abbassare i costi dei carburanti e aiutare la popolazione più indigente, senza comunque risolvere il problema della povertà.
Parliamo di somme enormi. L’Agenzia internazionale dell’energia, calcola che nel 2014 i paesi abbiano speso 493 miliardi di dollari per sostenere i combustibili fossili. Il centro studi britannico Overseas development institute (Odi), in collaborazione con Oil change international, stima che nello stesso anno i paesi del G20 abbiano stanziato 444 miliardi di dollari per supportare questa produzione di energia.
Il denaro destinato a sostenere la produzione di energia da combustibili fossili che oggi non è più redditizia, ritarda l’innovazione tecnologica e incentiva i paesi nella realizzazione di oleodotti e nella costruzione di centrali a carbone. Non ultimo, sono una condanna a morte per qualsiasi politica contro i cambiamenti climatici perché, di fatto, ostacolano la transizione energetica verso un modello a basse emissioni di CO2, basato sullo sviluppo di energie rinnovabili e sull’efficienza energetica.
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