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Thierry Di Costanzo. I rohingya sono figli del suolo birmano
Il professore Di Costanzo ci fa immergere nella storia dei rohingya, perché solo così è possibile capire perché il trattamento che stanno subendo in Birmania è ingiusto.
La storia dimostra che i rohingya sono “figli del suolo birmano” e hanno pieno diritto alla cittadinanza. Così si è espresso Thierry Di Costanzo, professore dell’Università di Strasburgo, esperto e studioso di numerosi paesi asiatici. In particolare del subcontinente indiano. Costanzo ha vissuto a Chittagong, la città bengalese con la maggiore concentrazione di rohingya, fra il 1989 e il 1991. In questa intervista ci spiega perché a legge del 1982 che vieta a questa etnia la cittadinanza birmana è ingiusta, partendo dalla storia del colonialismo in Asia meridionale.
Leggi l’intervista a Phil Robertson di Human rights watch
Perché i rohingya hanno diritto alla cittadinanza birmana?
I rohingya sono stati storicamente deportati dai colonizzatori portoghesi e dai trafficanti di schiavi dal delta del Bengala nel Rakhine settentrionale (attuale Myanmar, ndr) e nella provincia (oggi bengalese, ndr) di Chittagong finché regnarono i moghul. Nel distretto di Chittagong gli schiavi godevano di una certa libertà, mentre nel Rakhine settentrionale erano rigidamente soggetti ai governanti locali.
Tuttora, infatti, vivono in una terra di mezzo: tra il Bangladesh e lo stato Rakhine della Birmania (Myanmar), giusto?
Sono fermamente convinto che il Myanmar appartenga più all’Asia meridionale che a quella Orientale. Il Rakhine è una zona di contatto tra l’ex Birmania e il Bengala, cioè l’India e il Bangladesh. La stessa Chittagong faceva parte del Rakhine fino a quando l’esercito moghul l’ha invasa. E qui gli abitanti parlano più o meno lo stesso dialetto dei rohingya.
Quindi?
I rohingya non sono bengalesi o immigrati illegali recenti. Sono sempre vissuti nel Rakhine, almeno da quando i colonizzatori portoghesi sono approdati nella baia del Bengala. Questa è la storia che i nazionalisti buddisti vogliono dimenticare.
Il nazionalismo è la chiave per capire quanto sta accadendo in Birmania?
È una prospettiva importante, che affonda le sue radici nell’impero britannico. Sotto gli inglesi, fino al 1938, la Birmania fu trasformata in una colonia interamente buddista. Una sorta di “Pakistan buddista”. Spesso si trascura un aspetto, che la Birmania rappresenta la prima vera spartizione dell’India, dalla quale derivano tutti i problemi odierni con le minoranze.
Il regime coloniale britannico incoraggiò le divisioni comunitarie?
Sì, in Birmania il comunitarismo buddista, mentre in India le divisioni settarie fra hindu e musulmani. E poi ci fu la seconda guerra mondiale. I rohingya erano dalla parte dei britannici, mentre gli arakan (rakhine) dei giapponesi e dei birmani. Nel 1947 avrebbero voluto appartenere al Pakistan orientale, l’attuale Bangladesh, ma i britannici glielo impedirono.
Oggi lei li definisce “figli del suolo birmano”?
Sì, sono uno dei tanti gruppi etnici radicati da tempo in Birmania, come i karen per esempio. Quello che il regime birmano ha fatto finora è unicamente una pulizia etnica. E probabilmente ha temuto una qualche ribellione o rivendicazione terroristica aiutata da Al Qaeda e dallo Stato Islamico, qualcosa di simile all’insurrezione islamica kashmira. Tanti rohingya lavorano nei paesi del Golfo e negli anni Ottanta c’è stato un movimento di mujaheddin.
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