Finora sono morte almeno sette persone. Le forze di polizia stanno investigando per capire se gli incendi siano dolosi e hanno arrestato sette persone.
Cosa è riuscito a fare Donald Trump nella prima settimana da presidente
Torture, aborto, muro alla frontiera col Messico. E ancora trattati, petrolio e diritti dei gay. La prima settimana di Trump alla guida degli Stati Uniti.
È passata una settimana dal giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Una settimana di decisioni, annunci, polemiche e tweet. Il nuovo presidente degli Stati Uniti non ha infatti perso tempo, affondando da subito i primi colpi contro le politiche del suo predecessore, Barack Obama. E lanciando alcune delle misure più importanti (e discusse) del suo programma.
Venerdì 20 gennaio – Addio all’Obamacare
Nel suo primo giorno di lavoro Trump ha firmato il provvedimento numero uno. Anche da un punto di vista simbolico, il neo-presidente ha voluto che esso riguardasse l’Obamacare, ovvero la riforma del sistema di assicurazioni sanitarie che l’ex presidente democratico aveva fatto approvare al fine di risolvere il problema dei milioni di cittadini che, privi di una copertura adeguata, rinunciano alle cure.
Al contempo, a partire dall’insediamento alla Casa Bianca, dal sito internet ufficiale dell’amministrazione americana sono scomparse la pagina dedicata ai cambiamenti climatici, quella sul tema dei diritti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali), nonché la versione in lingua spagnola del portale stesso. Sempre nel primo giorno da presidente, Trump ha anche annunciato il rilancio dello sfruttamento del petrolio e del gas da scisto, nonostante i rischi ambientali che essi comportano, e una stretta sui permessi temporanei di soggiorno per studiare e lavorare. Ha confermato, infine, la presenza nel proprio esecutivo degli ex generali dell’esercito americano James Mattis e John Kelly, designati rispettivamente per le funzioni di segretari alla Difesa e alla Sicurezza interna (che comprende il controllo delle frontiere).
Sabato 21 gennaio – Le manifestazioni e la Cia
Nel secondo giorno da presidente, Trump ha incontrato una platea di funzionari della Cia, dichiarando di essere “al mille per cento” al loro fianco. Nel frattempo, milioni di persone sfilavano in piazza per protestare contro la sua elezione: il miliardario non ha tuttavia commentato in alcun modo i cortei.
Domenica 22 gennaio – Attacco al trattato Nafta
La giornata di domenica si è aperta quindi con l’annuncio della volontà di rinegoziare il “Nafta”, ovvero il North American Free Trade Agreement, trattato in vigore dal gennaio del 1994 in virtù del quale è stata creata una zona di libero scambio tra Messico, Canada e Usa. Un incontro con il presidente messicano Enrique Peña Nieto era stato fissato da tempo proprio per parlare della questione, ma il capo di stato, dopo i ripetuti attacchi giunti dalla Casa Bianca (e le reazioni suscitate in patria), ha deciso di non recarsi a Washington.
Lunedì 23 gennaio – Nel mirino il Tpp e l’aborto
Un altro trattato di libero scambio, il Tpp, è finito nel mirino di Trump nella giornata di lunedì. Il Partenariato Trans-Pacifico (Trans Pacific Partnership), è un accordo commerciale siglato da dodici paesi sulle due sponde del Pacifico (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam, oltre ovviamente agli Usa). Il trattato, firmato nel 2015, rappresentava una delle priorità dell’amministrazione Obama, che ne attendeva la ratifica da parte del Congresso.
Nello stesso giorno, Trump ha anche lanciato una pesante stoccata al diritto all’aborto, firmando un decreto che vieta la concessione di finanziamenti pubblici alle organizzazioni non governative internazionali che lo sostengono. Una svolta che arriva a 44 anni dalla storica decisione della Corte suprema americana di rendere legale l’aborto negli Stati Uniti (e due giorni dopo la grande manifestazione delle donne americane per i propri diritti).
Martedì 24 gennaio – Il rilancio degli oleodotti
Martedì è stato il giorno del rilancio dei progetti di due oleodotti contestati con estrema forza dalle associazioni ambientaliste di tutto il mondo. Il primo è il Keystone XL, che dovrebbe attraversare l’intera nazione americana partendo dal Canada, per arrivare nel sud degli Usa. Ciò al fine di trasportare il petrolio prodotto al di là del confine grazie alle sabbie bituminose della provincia dell’Alberta: tra le più pericolose in assoluto per l’ambiente.
Il secondo oleodotto è il Dakota Acces, progetto da 3,8 miliardi di dollari della Energy Transfer Partners LP, fortemente contrastato dalle popolazioni native americane.
Signing orders to move forward with the construction of the Keystone XL and Dakota Access pipelines in the Oval Office. pic.twitter.com/OErGmbBvYK
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 24 gennaio 2017
Mercoledì 25 gennaio – Il giorno del muro e della tortura
Mercoledì è stata la giornata del muro alla frontiera con il Messico. Si tratta di una delle promesse più contestate tra quelle presenti nel programma del miliardario americano, che punta in questo modo a porre un freno alle migrazioni provenienti dalla vicina (e più povera) nazione americana. Ma non è tutto: Trump ha anche annunciato un’ordinanza che dovrebbe restringere fortemente la concessione di permessi di soggiorno per coloro che arrivano da Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen, secondo quanto riferito dal suo entourage.
Beginning today, the United States of America gets back control of its borders. Full speech from today @DHSgov: https://t.co/CXn2u87Vv6 pic.twitter.com/48iZam5Fai— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 26 gennaio 2017
Nello stesso giorno il presidente americano ha anche ribadito di essere favorevole all’utilizzo della tortura come metodo per ottenere informazioni dai prigionieri. Compresa la simulazione di annegamento, praticata dalla Cia nelle prigioni segrete contro i sospettati di terrorismo durante la presidenza di George W. Bush, quindi vietata durante la presidenza di Obama.
Giovedì 26 gennaio – La tassa sui prodotti messicani
Nel settimo giorno di Trump alla guida degli Usa, il dibattito si è spostato sulla questione dei fondi necessari per edificare il muro che correrà lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Di fronte al secco no pronunciato dal governo di Enrique Peña Nieto, che non accetta la richiesta di contribuire al progetto, il presidente americano non ha perso tempo ed è passato al contrattacco. L’idea annunciata è di introdurre una tassa del 20 per cento su tutti i prodotti importati dal Messico: in questo modo la Casa Bianca conta di raccogliere il denaro necessario per completare la costruzione della barriera.
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