Cooperazione internazionale

Turchia, fermati 12 professori perché volevano la pace con i curdi

La loro colpa è aver firmato una dichiarazione per denunciare e quindi porre fine alla violenza dell’esercito turco contro gli esponenti del Partito curdo dei lavoratori, il Pkk. Una dichiarazione che chiedeva una soluzione pacifica del conflitto, quasi secolare, nel sudest del paese tra la Turchia e il Pkk, considerato come un’organizzazione terroristica sia dal governo

La loro colpa è aver firmato una dichiarazione per denunciare e quindi porre fine alla violenza dell’esercito turco contro gli esponenti del Partito curdo dei lavoratori, il Pkk. Una dichiarazione che chiedeva una soluzione pacifica del conflitto, quasi secolare, nel sudest del paese tra la Turchia e il Pkk, considerato come un’organizzazione terroristica sia dal governo di Ankara che dai suoi alleati occidentali.

 

Così, per questo motivo, dodici dei mille professori universitari da ogni parte del mondo che l’hanno sottoscritta sono stati fermati dalla polizia turca venerdì 15 gennaio, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Anadolu e ripresa da Associated Press. Una mossa che conferma i dubbi e i timori sulla reale possibilità di esprimersi liberamente nel paese sotto la guida del presidente Recep Tayyip Erdogan. I docenti lavorano all’università di Kocaeli, a pochi chilometri da Istanbul, dove il 12 gennaio si è verificato un attentato nel quartiere di Sultanahmet.

 

curdi, kocaeli
L’università di Kocaeli sotto la neve, in Turchia. Qui sono stati arrestati 12 professori che volevano la pace con i curdi

 

Questi insieme ad altri nove, il cui fermo è in via di definizione, potrebbero essere accusati di aver insultato lo stato turco e di aver promosso la propaganda terrorista per conto dei curdi. Il Pkk si batte per l’indipendenza del Kurdistan anatolico da oltre trent’anni e per la creazione di un “grande Kurdistan” che includa anche le regioni sotto la sovranità irachena, iraniana e siriana. Un conflitto che ha causato decine di migliaia di vittime.

 

La dichiarazione “incriminata” – firmata anche dal linguista americano Noam Chomsky, a sua volta nel mirino di Erdogan nel discorso pronunciato dopo l’attentato di Istanbul – si sarebbe macchiata di faziosità, ossia di essere di parte perché userebbe un linguaggio vicino a quello usato dai separatisti e perché non parlerebbe delle violenze di questi ultimi. Un reato d’opinione, dunque, che non dovrebbe esistere in nessuna democrazia, tantomeno in un paese che ambisce ad entrare nell’Unione europea, dove la libertà di esprimersi è uno dei principi fondanti.

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