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Arquitectura expandida, il collettivo colombiano di architettura sociale in mostra a Londra
Uno spazio si crea non solo in senso fisico ma anche sociale. Questa è la filosofia di Arquitectura expandida, un collettivo di architetti attivisti che opera a stretto contatto con le comunità dei quartieri più svantaggiati della capitale colombiana Bogotá, nato nel 2010 da un’idea degli architetti Ana Ortego e Harold Guyaux. Tra i suoi progetti anche Potocine,
Uno spazio si crea non solo in senso fisico ma anche sociale. Questa è la filosofia di Arquitectura expandida, un collettivo di architetti attivisti che opera a stretto contatto con le comunità dei quartieri più svantaggiati della capitale colombiana Bogotá, nato nel 2010 da un’idea degli architetti Ana Ortego e Harold Guyaux. Tra i suoi progetti anche Potocine, selezionato insieme a altri dieci iniziative dal curatore Justin McGuirk per essere esposto all’interno della rassegna Fear and Love, la prima mostra temporanea del nuovo Design museum di Londra, in corso da novembre 2016 fino al 23 aprile 2017.
Cos’è Arquitectura expandida
Arquitectura expandida è un laboratorio che mette insieme investigazione e azione che ha come obiettivo principale quello di fare ricerca su processi e metodi di autocostruzione collettiva della città, coinvolgendo associazioni culturali e di quartiere e cercando di trasmettere ai cittadini l’interesse di farsi carico della gestione politica, sociale e culturale del proprio territorio. Funziona sia come think tank (istituzione di ricerca) che affronta questioni e problematiche sollevate dalle organizzazioni di quartiere che possono trasformarsi in proposte concrete di partecipazione, sia come gruppo attivista che aiuta i cittadini a esercitare il proprio diritto a vivere la città.
Il collettivo si occupa soprattutto di interventi urbani ad alto contenuto simbolico e pedagogico, promuovendo la cultura come mezzo principale di pianificazione territoriale. Al suo interno confluiscono collaboratori con esperienze e interessi diversi, dall’umanista all’illustratore, per un totale di sei membri che hanno un obiettivo comune ma visioni diverse, ad esempio riguardo alla sostenibilità. “A me interessano molto di più i sistemi organizzativi sostenibili che spesso sono più deboli, ma Felipe (membro del collettivo, ndr) è molto interessato ai materiali”, afferma Ortego, una delle fondatrici del progetto.
Il progetto Potocinema
Il progetto più recente è Potocinema, una sala cinema autogestita, inaugurata a ottobre 2016 dopo soli quattro mesi dall’inizio dei lavori a Potosí, Bogotá, un quartiere nato negli anni Ottanta dal processo di urbanizzazione non regolarizzata e da sempre popolato da vittime del conflitto armato durato oltre mezzo secolo o persone soggette a difficoltà socio-economiche.
“Un tema chiave in questo quartiere è quello dei materiali e abbiamo cercato di divulgarlo attraverso la parola ma anche attraverso il sistema di costruzione, – spiega Ortego – facendo sì che venisse trasmessa una certa trasparenza, ovvero che il materiale fosse sempre visibile”. Il quartiere si trova in una zona al confine con la campagna e non distante da una miniera d’argento: al suo interno operano gruppi attivisti che si battono per l’uso e sopratutto il non-uso di alcuni materiali. Tra queste l’associazione No le saque la piedra a la montaña, un gioco di parole in quanto sacar la piedra non significa solo “estrarre la pietra”, ma è anche un’espressione idiomatica per “far infuriare”.
Il progetto Potocinema ha incorporato la già esistente scuola di cinema, che offre laboratori tre volte a settimana, assieme a una nuova sala cinema. Entrambi gli spazi sono gestiti da Ojo al sancocho, collettivo di quartiere che si batte per il diritto alla cultura e il possesso dei mezzi adeguati per fruirne.
Potocinema al Design museum di Londra
Potocinema è stato selezionato per essere esposto in forma ridotta all’interno della mostra Fear and Love. L’installazione consiste nella riproduzione dell’edificio realizzato con materiali locali, bambù e lastre di policarbonato. All’interno, alcuni monitor riproducono video realizzati dagli studenti della scuola di cinema, a cui è stato chiesto di documentare la paura e l’amore nel proprio quartiere. Questo progetto rappresenta così un mezzo importante perché i ragazzi sviluppino nuove competenze e creatività, trovando un’alternativa alla vita di strada.
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