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Bhutan, la fiaba del regno del drago tonante
Nel Paese Himalayano dove il re disse: “sarò felice se i miei sudditi saranno felici”. Il Bhutan.
C’era una volta un re… È così che merita di cominciare un racconto sul Bhutan. Perché visitare questo piccolo regno incastonato nell’Himalaya vuol proprio dire entrare in una fiaba. Era il 1974 e, nella terra del drago tonante divenne re un giovane di diciotto anni, Jigme Singye Wangchuck. Come prima cosa, invitò i suoi sudditi a respingere le convenzioni e le abitudini della maggior parte del mondo, quello civilizzato. Nel suo discorso di insediamento, affiancato dal Lama capo spirituale del buddismo del Paese, disse semplicemente “sarò felice se i bhutanesi saranno felici”. Detto fatto. In Bhutan il Pil (Prodotto interno lordo) fu sostituito dalla Fil (Felicità interna lorda), ritenuta dal re molto più importante. La Fil (nella sigla inglese è Gnh, Gross national happiness) misura le esigenze e i bisogni del popolo. E così il sovrano concentrò tutta la sua azione politica per rendere felici i suoi sudditi.
In Bhutan, la sanità e le scuole sono gratuite, il tasso dei suicidi e degli omicidi è tra i più bassi del mondo, l’ambiente è rispettato se non addirittura venerato; le foreste devono ricoprire almeno il 60 per cento del territorio ed è quindi vietato tagliare gli alberi, così come è vietato uccidere qualsiasi animale; la vita è basata sul buddismo, che ispira anche le leggi dello Stato. Il governo, attraverso questionari distribuiti al popolo, misura tutto: dalle fonti di stress alle ore dedicate al sonno e al lavoro, dalle visite mediche alla qualità dell’aria, dalle consultazioni con astrologi e sciamani alla conoscenza dei politici locali, dai libri letti all’alcol bevuto (in tutto il Paese è vietato fumare. Gli stranieri possono portare sigarette, ma le devono dichiarare all’ingresso).
Pochi anni fa il re ha abdicato, trasformando il regno in monarchia costituzionale e lasciando i poteri nelle mani del suo giovane figlio. Lui si è ritirato a vivere in una minuscola casetta, in mezzo ai pini sulle pendici di una montagna. Raccontano che passi il tempo leggendo e meditando. Il figlio, ora, continua nella direzione indicata dal padre, anche se ha aperto il Paese alle novità tecnologiche (Internet, per esempio) e resistere alle contaminazioni è sempre più difficile. Un viaggio in Bhutan è dunque soprattutto una grande opportunità per osservare da vicino uno stile di vita diverso dal nostro e un modo di affrontare l’esistenza per noi forse difficile da praticare, ma che sa trasmetterci una serenità e una pace che rimpiangeremo una volta tornati a casa. C’è di più, però. Il Bhutan è un Paese bellissimo anche dal punto di vista paesaggistico e culturale.
E’ la pista di atterraggio dell’aeroporto internazionale di Paro a dare il benvenuto ai turisti. Paro non è la capitale, ma la pista l’hanno dovuta fare qui perché era l’unico luogo in cui ci fosse un pezzo di terra abbastanza piatto e lungo per poterla costruire. Il resto sono montagne, montagne e ancora montagne. Innevate, come la vetta del Jhomolhari (7314 mt), la cima più alta, meta di fantastici trekking tra vallate immense e disabitate, o ricoperte di folte foreste, pinete, bambù e, soprattutto, giganteschi alberi di rododendri. E in mezzo alle vette himalayane le piccole città, i villaggi, gli dzong (cittadelle-fortezze) e i monasteri. Tra quest’ultimi il più spettacolare è sicuramente il Taktshang Goemba, la tana della tigre. Arroccato su un dirupo a 900 mt dal fondovalle, si raggiunge con una passeggiata di un paio d’ore. Guru Rimpoche, secondo la leggenda, ci arrivò a cavallo di una tigre per sottomettere il demone della zona e lo ancorò allo strapiombo con i capelli delle dakini, le entità celesti femminili. E’ davvero un luogo straordinario sia per la misticità che emana, sia per la posizione.
Oltre ai templi, da visitare assolutamente sono gli dzong, l’elemento architettonico più caratteristico del paesaggio bhutanese. Sono attualmente centri amministrativi dei vari distretti e monasteri insieme, insomma il fulcro delle autorità secolari e religiose. Quello di Paro è uno dei più importanti e famosi. Le sue mura massicce dominano la città e sono visibili da ogni punto della valle. Qui Bertolucci girò alcune scene del “Piccolo Buddha”. Quello di Thimphu (la capitale) invece ospita la sala del trono e quello di Punakha è forse il più bello del Paese. Il valore aggiunto di questi Dzong è che tutti i bhutanesi per accedervi devono indossare il costume tradizionale: il gho gli uomini e la kira le donne, tuniche dai vivaci colori legate in vita da una cintura.
C’era una volta un re e c’erano una volta i suoi sudditi … e dentro le cittadelle-fortezza simbolo del regno del drago tonante ci sono ancora. La favola può cominciare.
Cosa ci piace
Assistere a una gara di tiro con l’arco. E’ lo sport nazionale del Paese e viene praticato ovunque ci sia
spazio sufficiente. Nelle valli vengono ancora utilizzati gli archi di legno. Le donne assistono ai lati del
campo facendo il tifo. Tutti in abito tradizionale. A Thimphu visitare la Motithang Takin Preserve
per guardare da vicino il takin, animale nazionale sia per le sue caratteristiche uniche, sia per il r
uolo che ha avuto nella mitologia locale. Un lama avrebbe messo la testa di una capra sulle ossa di u
na mucca creando il takin. Non bello quindi, ma decisamente curioso. Il mercato del fine settimana di Thimphu dove vendono tutti i prodotti alimentari locali. Tra i più particolari: riso rosso, felci e tonnellate di peperoncino che qui non è un condimento, ma una vera e propria pietanza. Attenzione: è piccantissimo, anche se dicono faccia bene…
Da non perdere
Uno dei Tsechu (Festival) nei cortili dei monasteri o degli dzong del Paese. Sono eventi sociali, durante i quali la solennità si accompagna al clima della festa paesana. Richiamano pellegrini da tutto il Paese anche perché è considerato un buon auspicio parteciparvi. Per noi è un modo per avvicinarsi al Buddhismo. Si può assistere alle Cham, le danze rituali con le maschere, e osservare la gente con i suoi abiti tradizionali e i suoi gioielli. I prossimi Tsechu in programma sono a Thimpu e a Bumthang, rispettivamente in settembre e in ottobre.
Un’escursione nella Valle di Phobjika per vivere l’atmosfera più rurale del Bhutan. In mezzo a campi coltivati e graziose abitazioni contadine, adornate con le pitture degli immancabili falli, considerati un portafortuna in tutto il Paese, è possibile passeggiare su sentieri in piano (cosa rara!). Nella valle di origine glaciale, verso la fine di ottobre, arrivano per svernare le rare gru collonero, considerati “uccelli celesti”. Il Gangte Goemba domina la grande distesa verde e ospita un lama reincarnato.
La visita delle rovine del Drukgyel Dzong, dove finisce la strada a 14 km da Paro. Costruito in un luogo strategico sulla via per il Tibet (con cui il Bhutan ha combattuto numerose guerre nei secoli scorsi) ha un falso ingresso finalizzato ad ingannare gli eventuali invasori e ad attrarli in un cortile chiuso. Da qui, nelle giornate limpide, si può vedere il Jhomolhari in tutta sua maestosità. E da qui partono anche i trekking per raggiungere la stessa montagna, la più alta del Bhutan (7314mt). Per gli appassionati, un’esperienza da vivere.
Buono a sapersi
Il Bhutan è un Paese sicuro. I bhutanesi sono aperti e simpatici. Molti parlano inglese, anche perché è insegnato nelle scuole. L’unità monetaria del Bhutan è il ngultrum che equivale a una Rupia indiana, ma anche le Rupie indiane si possono utilizzare liberamente in tutto il Paese.
Il visto per entrare nel Paese viene rilasciato direttamente all’aeroporto di Paro (prima di partire però occorre presentare una domanda tramite un tour operator e attendere che venga accolta). Molti laghi sono ritenuti dimora di divinità. Di conseguenza, non nuotate, non gettate sassi, non sporcate le acque. Non toccate mai la parte superiore della testa di una bambino perché è considerata una parte speciale del corpo umano.
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