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Giro d’Italia 2017, la centesima edizione ricordando emozioni e imprese
Tra poco prende il via il centesimo Giro d’Italia. Dal 1909 a oggi, la corsa rosa è stata teatro d’imprese indimenticabili, fonte d’ispirazione per molti.
Il 2017 è l’anno del centesimo Giro d’Italia, vale a dire la centesima edizione della seconda gara ciclistica a tappe più importante del mondo. Dopo il Tour de France, la corsa rosa – chiamata così dal colore della maglia indossata dal leader della competizione – rappresenta l’evento clou dell’anno per gli amanti delle due ruote a pedali. Massima espressione di agonismo, coraggio e, in epoca moderna, di programmazione, dal 5 al 28 maggio vedrà i migliori professionisti del pianeta sfidarsi lungo i 3.572 chilometri che separano lo start di Alghero, in Sardegna, dall’arrivo di Milano, nel cuore della Lombardia. Tre settimane di corsa e 21 tappe suddivise tra quattro arrivi in salita, cinque frazioni di alta montagna, due crono individuali e grandi salite come l’Etna, il Blockhaus, Oropa, lo Stelvio e cima Grappa.
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Il Giro d’Italia dalle guerre mondiali a oggi
Il fascino del Giro d’Italia è immarcescibile. Passato indenne attraverso le due guerre mondiali, gli scandali legati al doping, l’epopea di campioni del calibro di Fausto Coppi e Marco Pantani, sino a giungere al brillare odierno di stelle made in Italy quali Vincenzo Nibali e Fabio Aru, il Giro è un evento unico. In grado di coinvolgere media, sportivi, appassionati e semplici spettatori occasionali che godono della possibilità di ammirare la carovana rosa sotto le finestre di casa. La centesima edizione renderà omaggio ai citati Coppi e Pantani, oltre che a “mostri sacri” della bicicletta quali Gino Bartali, Ercole Baldini e Felice Gimondi, sostenendo inoltre una serie di iniziative benefiche a favore delle popolazioni colpite dal terremoto del 24 agosto.
Il bruciore di Luigi Ganna al termine del primo Giro d’Italia
Il Giro d’Italia non sarebbe un mito se non si fossero verificati eventi singolari, o non fossero emersi eroi senza macchia autori d’imprese uniche, in grado di elevare un “semplice” evento sportivo al rango di leggenda. Come quando nel 1909, alla prima edizione, vinse Luigi Ganna, soprannominato “il re del fango” – all’epoca l’asfalto era un miraggio – che consegnò agli annali la dichiarazione rilasciata a un giornalista. Questi, curioso di conoscere quale fosse l’impressione più viva del campionissimo dopo il trionfo, si sentì rispondere, con disarmante sincerità, “l’è che me brüsa tant ‘l cü!”. In dialetto varesino, Ganna si riferiva all’ardente bruciore del soprasella.
La prima maglia rosa e le tappe da 400 chilometri
Nel 1936, Learco Guerra si ruppe un braccio per una caduta causata da un calesse trainato da un cavallo imbizzarrito. Guerra, noto come “la locomotiva umana”, non viene ricordato tanto per questo singolare evento, quanto perché nel 1931 fu il primo corridore a indossare l’ormai classica maglia rosa, ideata per distinguere il leader della corsa pubblicizzando, al contempo, la Gazzetta dello Sport, patron del Giro. Andando a ritroso nel tempo, nel 1914 gli organizzatori si fecero prendere la mano e inserirono tappe da 400 chilometri. Delle vere e proprie maratone che falcidiarono il gruppo. Tra le “vittime” Giuseppe Azzini che, in testa alla classifica generale, nella sesta tappa andò in crisi. Se ne persero letteralmente le tracce. Venne ritrovato il mattino seguente in un granaio, a un centinaio di chilometri dal traguardo.
L’unica donna e Binda escluso per manifesta superiorità
Oggi, oltre al classico Giro d’Italia, si corre un’edizione della corsa rosa dedicata esclusivamente alle donne. Nel 1924, però, tutto ciò era impensabile e così Alfonsina Strada divenne la prima, e unica, fanciulla a prendere parte al Giro. Aveva 33 anni e gareggiò con la bicicletta ricevuta come regalo di nozze. Pur finita fuori tempo massimo e quindi ufficialmente esclusa, terminò la competizione, anche se fuori classifica. Fuori classifica andò anche Alfredo Binda, nel 1930, vincitore di quattro degli ultimi cinque giri d’Italia. Considerato troppo forte dagli organizzatori, non venne inserito nella lista partenti, per l’occasione trasformata “a invito”. Fu comunque indennizzato con 22.500 lire, vale a dire la stessa cifra che gli sarebbe spettata se avesse trionfato in quell’edizione.
Gli scontri di Trieste e la maglia nera
A un anno dalla fine della seconda guerra mondiale, il Giro doveva fare tappa a Trieste, ma i corridori vennero fermati da una fitta sassaiola e dalla strada cosparsa di chiodi. Un “omaggio” del Fronte di liberazione sloveno che rivendicava i territori contesi. Un episodio oscuro, anche se mai quanto la maglia nera. Una tradizione nata grazie al calciatore Giuseppe Ticozzelli che, nel 1926, prese parte alla corsa rosa vestendo la divisa della squadra di calcio per cui giocava (il Casale); nera con una stella bianca. Dopo esser stato investito durante la terza tappa, Ticozzelli raggiunse la partenza della quarta frazione in taxi, per poi fermarsi in trattoria a gara iniziata, noncurante della classifica. Dal colore del suo abbigliamento fu istituita la maglia nera, riservata all’ultimo arrivato. In seguito si sviluppò una vera e propria competizione per arrivare ultimi, dato che tra il 1946 e il 1951 venne abbinata una somma di denaro a questo primato al contrario. Sante Carollo e Luigi Malabrocca passarono agli annali perché, pur di concludere in coda senza sforare il tempo massimo, non esitarono a nascondersi nei bar e nei fienili, sotto i ponti e nei tombini, arrivando persino a forare le proprie ruote. Dal 1952, per rispetto nei confronti degli altri corridori, la maglia nera venne abolita.
Coppi in solitaria, Gaul sotto la neve, Magni fratturato
Aneddoti, eventi singolari e grandi imprese. Soprattutto grandi imprese sportive. Come quando Fausto Coppi, nel 1949, conquistò la tappa Cuneo-Pinerolo dopo 192 chilometri di fuga. Una cavalcata incredibile, che vide Gino Bartali arrivare secondo. “L’airone”, del resto, fu anche il vincitore più giovane di sempre, dato che nel 1940 trionfò a soli 20 anni, 8 mesi e 25 giorni. Non meno epica l’impresa di Charly Gaul al Monte Bondone, nel 1956. Una tappa alpina sotto una terribile tormenta di neve, con corridori che si ritiravano semi assiderati e Gaul che scattava a ogni salita, ma veniva raggiunto in discesa, il suo punto debole, sino all’ascesa finale. Vinse e vestì la maglia rosa, ma dovette essere riscaldato ore e ore per recuperare la mobilità degli arti. Alle sue spalle, al termine di quel Giro, giunse il grande Fiorenzo Magni, che terminò la corsa con una clavicola fratturata: affrontò la cronoscalata del colle di San Luca (Bologna) con un tubolare legato al manubrio e stretto tra i denti, così da poter fare forza ed essere comunque competitivo. Un’impresa epica. Ciclismo d’altri tempi.
L’impresa di Pantani a Oropa. Il Giro del 2016 è di Nibali
È invece figlia dell’epoca moderna l’eccezionale prestazione di Marco Pantani a Oropa, nel 1999. Dopo essere restato appiedato a inizio salita per un salto di catena, il Pirata di Cesenatico, già in maglia rosa, risalì in sella e fornì una prova di forza – e cuore – unica. Sessanta sorpassi, uno dietro l’altro, una frequenza di pedalata da far impallidire un frullatore Moulinex, le mani costantemente sulla parte bassa del manubrio e quello sguardo sognante che ancora oggi agita il sonno di chi l’ha amato. Indimenticabile. Così come resta indelebile l’impresa di Vincenzo Nibali al Giro d’Italia del 2013. Già sicuro della vittoria finale, nella tappa delle Tre Cime di Lavaredo lo “squalo dello stretto” volle regalare uno spettacolo unico ai tifosi accorsi ad acclamarlo, attaccando sotto la neve e terminando a braccia alzate. Un successo bissato nel 2016 con la conquista della seconda maglia rosa della carriera. Perché gli anni passano, il ciclismo si rinnova, evolve ed è sempre più tecnologico. Ma le emozioni, quelle no, non hanno età.
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