In Piemonte, a pochi chilometri dal confine francese, la Valle Maira offre tutto ciò che chi ama l’autenticità dei territori montani cerca.
Eritrea, un viaggio da mille e una notte alla scoperta di una terra ricca di storie
Il fotografo Massimo Bicciato è nato in Eritrea, paese che ama e conosce profondamente. Il racconto del suo viaggio di ritorno nella terra natale, sulle orme di un passato ricco di colori, profumi e sapori.
Il viaggio in terra Eritrea è un viaggio della memoria, un viaggio nel tempo, un viaggio nel passato, un viaggio nella storia ma anche un viaggio nel futuro. Un lungo viaggio che racchiude dentro di sé mille percorsi tortuosi. In ogni istante trascorso a calpestare questa terra sono riaffiorate reminiscenze legate a un passato ormai sepolto nei meandri reconditi della memoria. Da quel giorno sono trascorsi oltre quarant’anni quando, inconsapevoli prendevamo per l’ultima volta un aereo che decollava da Asmara. Per la prima volta diretti in Italia. Eravamo solo dei bambini e tutto sembrava normale, ci trasferivamo da una terra ad un’altra, da un mondo a un altro senza la minima preoccupazione. Lasciavamo il paese dove eravamo nati senza grossi rimpianti. Avevamo una vita di fronte a noi e soprattutto eravamo stati abituati fin da piccini a volare sopra le nuvole.
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Eritrea, il ritorno a casa
Non ho mai sentito forte il richiamo del paese dove sono nato, nonostante vi si fosse installato in epoche ormai remote un ramo della mia famiglia. Da quel giorno sono trascorsi molti anni ma soprattutto molte guerre che hanno turbato il meraviglioso paese. Pur seguendo con attenzione i grossi cambiamenti che avvenivano in Eritrea – meta del viaggio proposto da LifeGate Experience che si tiene dall’1 al 10 dicembre 2017 – lo facevo sempre con fare distaccato, quasi il legame tra me e la mia terra si fosse ormai dissolto nel tempo e nella memoria.
Un giorno pensai che prima o poi sarei voluto tornare nella città dove ero nato. Era solo un pensiero non una priorità. Sarei tornato ad Asmara soltanto se mi si fosse presentata un’occasione speciale, unica e irrinunciabile. Non era un’esigenza assoluta e quindi potevo attendere quel momento senza fretta. Intanto il tempo passava e il desiderio aumentava. Sarà anche che questo tempo che corre veloce, faceva riaffiorare alla memoria vecchi ricordi sotto forma di immagini sempre più sbiadite e di profumi impressi nella memoria sempre meno profumati.
Tutto accadde senza nessun preavviso, senza che facessi nulla affinché si verificasse. Ricevo da un carissimo amico l’invito a partecipare alle riprese per un documentario sul vecchio treno costruito dagli italiani in Eritrea. Era arrivata l’occasione che attendevo.
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Finalmente Asmara
Finalmente Asmara. Mi sveglio la mattina sotto una luce accecante che filtra attraverso le tende dell’albergo dove alloggio. È bastato spalancare la finestra e ricevere una spruzzata di aria frizzante. Il profumo dell’aria pulita e la luce abbagliante del cielo terso del mattino asmarino, li avevo dentro senza averli mai scordati. Riaffiorano. Esco per strada e incontro quella luce unica che modella lunghe ombre. Eccolo un altro ricordo anche questo sopito nella memoria. Le ombre di Asmara si riflettono ovunque. Giochi di luci e chiaroscuri che ricordano i quadri di certi pittori illuminati di metà Novecento in cui spazi e linee dipingono sui muri lunghe ombre metafisiche di affascinanti architetture coloniali che spaziano dallo stile razionalista al déco, dal liberty al futurista e al neoclassico.
Vago e vengo lentamente assorbito da una sensazione unica che mi porta a diventare parte di questo mondo come se non lo avessi mai abbandonato, come se non fosse trascorso tutto questo tempo dal giorno in cui l’avevo lasciata definitivamente e quasi rimossa dalla mente senza grandi rimpianti. Attimo dopo attimo, giorno dopo giorno mi ritrovo inconsapevolmente a fare parte di questa comunità di italiani d’Eritrea che hanno il privilegio di vivere in questo luogo speciale e la sfortuna di essere invisibili agli occhi del paese di cui sono cittadini.
Da pochi giorni Asmara è diventata patrimonio dell’umanità dell’Unesco, un’enorme iniezione di fiducia per un popolo che ormai da tempo vive solo nel ricordo di un tempo che fu. Di certo è solo grazie a questa gente che oggi qualcuno saprà che esiste una città sospesa sulle nuvole, così bella da essere quasi irraggiungibile.
La perla del mar Rosso
La “perla del mar Rosso”, così è sempre stata chiamata l’affascinante Massaua, ma oggi del suo glorioso passato rimangono soltanto molti ricordi e i segni di una guerra che ha reso la città il fantasma di se stessa.
A Massaua bisogna passeggiare senza meta al tramonto, di sera, al mattino presto, sicuramente non nelle ore centrali della giornata. È una città da afferrare per i suoi odori, per il suo caldo torrido, i suoi profumi, la sua gente e i suoi sudori. Il cuore di Massaua è un continuo susseguirsi di impressioni: i portici bianchi della banchina, la vecchia via Roma che penetra fino al vecchio bazar coperto, il piccolo souk della verdura situato in una piazza centralissima, il buon caffè tradizionale sotto i rampicanti della Massaua Cafeteria. E poi ancora il porto, la grande piazza con la moschea, l’altra piccola moschea situata a ridosso del porto, il palazzo della vecchia Banca d’Italia centrato dalle bombe, posto davanti ai cancelli del porto. A Massaua basta perdersi nelle sue strade e, a poco a poco, si incontreranno tutti questi palazzi; costruzioni che emergono come fantasmi dalla grande calura. Bisogna camminare sui marciapiedi della diga che porta a Taulud per osservare i sambuchi, l’allineamento delle gru nel porto, le navi attraccate alla banchina, quello strano obelisco in mezzo al mare che ricorda tragedie aeronautiche del tempo delle colonie, per affondare ancora di più nell’atmosfera di Massaua.
Quella che una volta era considerata tra le più affascinanti città del mar Rosso, oggi può offrire poche ma uniche testimonianze del suo splendore passato: palazzi semi-distrutti dalle bombe lasciano ancora intuire i segni dei diversi stili architettonici che si sono succeduti nei secoli sotto le diverse dominazioni. L’ora magica del tramonto disegna i contorni di una città fantastica, mentre la temperatura, quasi insopportabile durante il giorno, cede di fronte alla leggera brezza serale che consente finalmente di uscire fuori e passeggiare per le sue strade senza una meta precisa. Raggiunti i bianchi porticati che conducono al porto, scrutando all’orizzonte in direzione della diga fra Taulud e Massaua, lo sguardo si fissa su una lunga striscia di terra dalla sabbia bianchissima: è l’isola di Sheik Said. Poi sedersi, bere una birra, guardare e immaginare.
Il mercato colorato di Keren
Il lunedì è il giorno del mercato dei cammelli. In un vasto spazio di polvere e sabbia, i mercanti con le lunghe jellabie e i gilet comprano, vendono, contrattano. Centinaia di cammelli attendono al sole, pazienti e imperturbabili, instancabili e preziosi compagni di lunghi viaggi attraverso deserto e altopiano. È uno spettacolo affascinante, ma chissà quanta fatica per i mercanti, giovani e vecchi, arrivati a piedi da villaggi lontani, con il danaro dentro le tasche dei gilet e la speranza che la giornata sia propizia.
Lungo il wadi (il letto asciutto di un corso d’acqua) è stato allestito un altro grande mercato. Sedute su stuoie, le donne colorate accanto a uomini e ragazzini, copti e musulmani vendono fingian, incensiere, fornelli, cesti, oggetti riciclati, sacchetti di spezie, collanine e bracciali di perline variopinte, lunghi abiti, fasci di legna, ombrelli per ripararsi dal sole. Ho sempre la sensazione che con molta pazienza e fortuna potrei trovare su chissà quale stuoia la collana di Sherazaade (la protagonista della raccolta Le mille e una notte), perché Keren – una delle destinazioni del viaggio LifeGate in Eritrea arricchito da un workshop di fotografia di reportage – per il viaggiatore incantato sembra avvolta in un’atmosfera da mille e una notte.
Dalle botteghe degli argentieri e degli orafi, ai vicoli dove i sarti lavorano su vecchie macchine da cucire Singer, questa piccola cittadina un tempo abitata e amata da molti italiani che vi hanno lasciato tracce nelle villette ornate da bouganville e in altri edifici, trasmette molte emozioni. Un vecchio uomo che parla bene l’italiano mi offre delle arance, è là da sempre, e ogni volta che torno si ricorda e mi porge qualche frutto, parliamo, mi presenta il nipote che ora è grande e lo aiuta e un bambino, un bisnipote che gioca accanto a loro con una trottola ricavata da una noce di cocco.
La sera nella grande piazza centrale nei momenti in cui Keren è avvolta da una luce dorata e si innalza nell’aria l’invito alla preghiera del muezzin, le mille voci degli uccelli sovrastano ogni altro rumore. Si riuniscono a grappoli sugli alberi della piazza, chissà cosa si raccontano. Alle prime ombre tacciono all’improvviso come se un direttore d’orchestra impartisse un tacito ordine. Keren è colore, trasparenza della luce, del cielo, sospensione di un tempo che indugia.
Keren, incontro di culture
Dagli anni lontani a oggi la bianca cittadina che dista soltanto novanta chilometri da Asmara, ma è molto diversa dalla capitale, non ha perso il suo fascino da racconto delle mille e una notte. Non è cambiata Keren, anche se non ci sono più le numerose botteghe dei commercianti indiani. Ma i colori, i profumi, i richiami di un’infinità di uccelli variopinti, i mercati, gli artigiani, le voci, sono uguali nel tempo. C’è un fortino, su uno dei monti che circondano la cittadina e guardandolo si pensa ai tragici giorni in cui i soldati italiani, come sempre male equipaggiati, si batterono con grande coraggio, affiancati da valorosi ascari, nella battaglia che vide frantumarsi tanti sogni e illusioni. Fu l’ultima battaglia contro l’esercito britannico, e oggi un cimitero militare, molto curato, ricorda i caduti. Nomi di comandanti, di semplici soldati, alcuni giovanissimi. Nessun nome sulle tombe degli ascari, ma la scritta “ignoto”.
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