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Un viaggio che ne contiene mille altri: il Festival di Edimburgo
Potremmo vantarci di essere già sbarcati su ciascuno dei cinque continenti o di aver setacciato i quattro angoli del globo, ma la verità è che, per quanto rodata o invidiabile possa essere la nostra patente di orgogliosi giramondo, seduti sulla poltroncina di una buia sala da concerto o in attesa che si levi il sipario
Potremmo vantarci di essere già sbarcati su ciascuno dei cinque continenti o di aver setacciato i quattro angoli del globo, ma la verità è che, per quanto rodata o invidiabile possa essere la nostra patente di orgogliosi giramondo, seduti sulla poltroncina di una buia sala da concerto o in attesa che si levi il sipario di un teatro, per ciascuno di noi, a qualunque età, potrà rinnovarsi, puntuale ed intatto, il medesimo miracolo.
Varcata la soglia di un teatro saremo ogni volta, con identica, gioiosa ed infantile curiosità, disposti a farci condurre per mano attraverso un nuovo viaggio. Che si tratti di danza classica o contemporanea, di prosa o di opera lirica, di musica pop o dodecafonica, di Shakespeare, di Bernhard o dei Momix, il risultato finale non cambia: in ogni spettacolo di arte performativa il flusso della creatività ci trasporta su una scena animata da personaggi e mondi alternativi.
Esattamente come accade durante un qualsiasi viaggio, anche sul palcoscenico si ripetono gesti abituali che assumono un valore inedito in virtù della cornice speciale in cui vengono compiuti. E in entrambi i casi l’unica vera ed inesausta esplorazione che, più o meno consapevolmente, continuiamo a perseguire, è quella riguardante noi stessi.
Partire dunque alla scoperta di un festival o di una rassegna di spettacoli, equivale precisamente ad optare per una sorta di “viaggio al cubo”, ovvero di viaggio (fisico) che ne contiene mille altri (immaginari), a maggior ragione nel caso in cui la meta prescelta non coincida con una manifestazione o “contenitore” qualunque, bensì con una sorta di vero e proprio capostipite di tutti i festival europei. Per numerose validissime ragioni, la capitale scozzese Edimburgo è infatti da sempre reputata il punto di riferimento delle grandi kermesse di spettacolo dal vivo.
La rinascita post-bellica che si rinnova ogni anno
Dotata del secondo Pil pro capite più elevato della Gran Bretagna dopo quello di Londra, la florida e vivacissima Edimburgo ospita un’interminabile serie di manifestazioni culturali, di vastissimo numero e tipologia, rispetto alle quali il celebre Edinburgh International Festival rappresenta il più prestigioso simbolo istituzionale nonché, da un punto di vista storico, il nobile progenitore.
Fu infatti nel lontano 1947 che, archiviata la dolorosa esperienza della seconda guerra mondiale, un volenteroso manipolo di impresari teatrali (gli stessi che idearono altre manifestazioni analoghe, come il Glyndebourne Opera Festival) insieme al direttore del British Council, escogitò un’iniziativa che promuovesse un’autentica rifioritura dello spirito umano (“a platform for the flowering of the human spirit”): una magnifica e multimediale “invasione” creativa della città, focalizzata su tutti i suoi principali e più capienti teatri, quali l’Usher Hall, l’Edinburgh Playhouse, il Royal Lyceum Theatre, l’Edinburgh Festival Theatre, The Hub e la Queen’s Hall.
Un’offerta musicale e teatrale vertiginosa
Oggi come allora, il programma (la cui brochure è comodamente scaricabile a questo link) contempla un’attentissima e assai gustosa selezione del meglio delle arti performative internazionali, affiancando prosa, danza, recital, spettacoli pirotecnici e di animazione, musica classica, contemporanea, folk e dei più svariati generi, interpretati da artisti ed orchestre provenienti da ogni dove, dall’Australia a San Paolo, da Berlino al Minnesota.
Oltre ad alcune conclamate star quali András Schiff, Antonio Pappano, Daniel Harding e simili, l’offerta di quest’anno include perfino un’apposita rassegna interamente dedicata a Boulez, un programma a base di cori di voci umane a partecipazione libera (Songline) ed una serie di eventi, quali il concerto di Youssou N’Dour, quello degli Young Fathers, di Alan Cumming o di Danielle de Niese che hanno già registrato il tutto esaurito ancor prima che il festival inizi.
Gli appassionati di teatro potranno scegliere tra il Riccardo III allestito da Ostermeier (recitato ovviamente in tedesco con sovratitoli in inglese), lo Zoo di Vetro di Tennessee Williams nella regia di John Tiffany e numerosissime altre produzioni. L’Italia sarà rappresentata giusto in ambito lirico dal celebre soprano Cecilia Bartoli (naturalizzata svizzera), protagonista di un’interessante rilettura novecentesca della Norma nella messinscena di Christophe Honoré.
Un assaggio del clima culturale eccezionalmente fervido della kermesse sarà offerto dall’attesissimo evento inaugurale: un imponente show di animazione, luci, arte e musica in cui, coniugando racconto e divulgazione scientifica, si rievocherà la plurimillenaria origine geologica (risalente a ben 350 milioni di anni fa) del sito nel quale sarebbero poi sorte Edimburgo e il suo castello, insieme alle scoperte dell’illustre geologo edimburghese James Hutton.
Il controcanto irrinunciabile del Fringe
Com’è arcinoto a chiunque ami frequentare teatri e affini, da che mondo è mondo la linfa vitale delle arti performative è sempre consistita nell’attitudine ad oltrepassare gli schemi, cioè a sovvertire i modelli e i linguaggi tradizionali orientandosi alla costante ricerca di nuove strategie espressive.
Avanguardia e sperimentazione sono dunque due componenti a tal punto intrinseche e indispensabili all’arte teatrale che, non a caso, fin dal suo primo anno di nascita l’Edinburgh International Festival vide sorgere, come suo naturale e fisiologico “controcanto”, la programmazione parallela dell’Edinburgh Fringe Festival.
All’epoca accadde semplicemente che le compagnie rimaste escluse dalla programmazione ufficiale decidessero di andare ugualmente in scena dando vita ad un calendario parallelo di spettacoli e rappresentazioni che costituivano la frangia (“the fringe” per l’appunto) marginale e periferica rispetto alla rassegna istituzionale.
A partire da allora, ogni anno, nelle medesime date, nella cornice del Fringe trovano spazio le forme più atipiche, libere ed anticonvenzionali del teatro, della musica e delle performance dal vivo, e l’ampiezza dell’offerta, con oltre 3000 spettacoli diversi e addirittura alcuni sottoinsiemi di festival come The Edge o l’Edinburgh Comedy Festival, è divenuta così vertiginosa da sopravanzare, di moltissimo, il programma tradizionale.
La differenza è che nella straordinaria varietà e diversità delle proposte il livello sarà ovviamente assai discontinuo, e non tutti gli show saranno alla stregua di rivelazioni memorabili come lo fu a suo tempo il ‘Rosenkrantz and Guildenstern are dead’ di Tom Stoppard, che debuttò appunto al Fringe nel ‘66, ma troverete sicuramente qualche stimolo interessante. Basti pensare che nella prossima edizione è annunciata anche una pièce incentrata sul referendum Brexit: It’s My Political Party (and I’ll Cry if I Want to) di Matt Forde.
Come arrivarci
Data la cospicua affluenza internazionale, il principale ostacolo per chi voglia immergersi nelle atmosfere irripetibili di questo festival consiste nella ricerca dell’alloggio: è pressoché impossibile trovare una sistemazione in centro-città se non la si è già prenotata con largo o larghissimo anticipo.
La soluzione da adottare in extremis consiste nel cercare di pernottare nelle immediate vicinanze del capoluogo scozzese. L’aeroporto di Edimburgo, ben collegato con le principali destinazioni europee, dista circa 25 minuti di taxi dalla città. Per informazioni e aggiornamenti relativi al festival, l’hashtag di riferimento è #edintfest. I biglietti possono essere acquistati sia via internet, attraverso i due siti ufficiali indicati, sia per telefono.
Il nostro consiglio LifeGate Express
Tra una pièce teatrale e l’altra, o tra un concerto ed un balletto, sarà opportuno cogliere l’occasione di dedicare qualche attenzione al simbolo storico di Edimburgo, ovvero il suo celebre ed imponente castello, visibile da Grassmarket, da Princes Street e da svariati punti panoramici della città.
Il maniero, dalle inconfondibili fattezze gotico-medievali, è costruito su un’antichissima roccia basaltica di origine vulcanica ed ospita attualmente, oltre ad una guarnigione militare permanente, alcuni dei principali musei scozzesi.
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