In Europa la transizione energetica è vicina, grazie a un mix di eolico e solare, ma infrastrutture e burocrazia rischiano di rallentarla
L’era del carbone è finita. Ora si apre un mondo di opportunità economiche
Il declino del carbone crea nuove opportunità economiche. Dalla Cina agli Stati Uniti, ecco come rinascono le comunità dopo la fine della dipendenza.
Il sorpasso delle rinnovabili sul carbone è una realtà. Nei prossimi 5 anni la crescita della domanda mondiale di carbone si fermerà. È quanto sostiene l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) nel rapporto di medio termine sul mercato del carbone. In questo contesto anche i maggiori consumatori di carbone, come Cina e India, non potranno fare a meno di pensare a soluzioni energetiche alternative.
Le città che sono sorte intorno alle miniere e che si sostengono grazie alle attività legate all’estrazione del carbone dovranno essere in grado di trasformare la propria economia, affrontando un cambiamento non solo economico e produttivo ma più profondo, antropologico e culturale. In Appalachia, una regione degli Stati Uniti orientali che attraversa il West Virginia, il Kentucky e altri territori situati lungo la catena montuosa omonima nella parte orientale del nord America, ci stanno faticosamente provando.
Il rallentamento del carbone a livello mondiale
La quota di carbone nel mix energetico per la produzione di elettricità scenderà nei prossimi 5 anni dal 41 (dato 2014) al 36 per cento, secondo l’Aie. Un trend positivo sostenuto dalla rapida crescita delle rinnovabili e dalla minore domanda di carbone proveniente da Cina e Stati Uniti. Un segnale positivo nonostante il mondo resti ancora fortemente dipendente dal carbone. Oggi, il 30 per cento dell’energia mondiale deriva da questa fonte e scenderà al 27 per cento nel 2021.
Nei prossimi anni, al calo dei consumi di carbone negli Stati Uniti e in Europa, si affiancherà un aumento nei paesi emergenti, in particolare nel Sudest asiatico, dove per crescere si sta puntando alla fonte di energia più ampiamente disponibile e relativamente conveniente quale è il carbone.
Le centrali a carbone inutili, in Cina
Il picco massimo nel consumo di carbone in Cina è stato raggiunto nel 2013 e da allora la tendenza si è invertita. “Il decennio d’oro del carbone in Cina è finito. Vediamo la domanda di carbone in calo, lento ma strutturale”, ha detto Keisuke Sadamori, uno dei direttori dell’Agenzia internazionale per l’energia. Un’inversione di rotta che ha stupito la stessa Aie che non aveva previsto tale cambiamento. Le cause sono l’aumento dell’efficienza energetica, la crescita della produzione di energia a basso tenore di carbonio e una minor intensità energetica nel settore industriale.
The Chinese Government just issued its Electric Power Sector Development Plan under the 13th Five-Year Plan (2016-2020) pic.twitter.com/wOlA5daYN4
— E-Small Data (@e_smalldata) 7 novembre 2016
Nel settore energetico Pechino sta pian piano spostando gli investimenti dal carbone al nucleare e alle fonti rinnovabili, a fronte di una domanda di energia che si sta indebolendo. Ma nonostante questo continua a investire in nuove centrali a carbone. Uno spreco di risorse, in un paese dove esiste un numero più che sufficiente di centrali elettriche a carbone che, di fatto, renderanno i nuovi impianti del tutto inutili. Quelle attualmente in attività stanno funzionando meno della metà del tempo e non ci sono segnali che nel prossimo futuro la tendenza possa invertirsi.
Il carbone è in declino anche in America
Anche negli Stati Uniti, la crisi del carbone si tocca con mano, soppiantato sempre più dalle energie rinnovabili che si stima aumenteranno del 72 per cento entro il 2040, o dal gas naturale diventato l’anno scorso la principale fonte di energia elettrica del paese.
Nonostante la campagna elettorale del presidente eletto Donald Trump in cui ha promesso di salvare l’industria del carbone passando dall’abolizione dell’Environmental protection agency e disconoscendo gli accordi internazionali sul clima, nel West Virginia e in Kentucky un reportage pubblicato su FastCoExist.com, racconta una storia diversa. Molti cittadini, amministratori statali e dirigenti di società private sanno bene che l’industria del carbone sta morendo e che presto si dovrà mettere la parola fine a tutte le attività e i lavori che aveva creato.
Prove di un’economia senza miniere
Seppure alcuni siano ancora aggrappati a un passato che non li può salvare, molte comunità del Kentucky che finora si sono mantenute grazie al carbone e al suo indotto, oggi stanno cercando un modo per dare vita a una nuova economia. Impresa non semplice in aree dove il carbone è diventato una forma mentis, il simbolo culturale e spirituale di persone che hanno vissuto guardando i propri familiari lavorare, soffrire e morire nel sottosuolo.
“Se vogliamo rimanere qui e avere un futuro, dobbiamo iniziare a cercare altri modi di vivere. Lo dobbiamo fare rapidamente, senza sedersi e aspettare che qualcosa accada. Non dipenderà dal governo federale o da qualcun altro che verrà a salvarci. Dobbiamo essere noi a lavorare e fare da soli”, spiega Guendalina Christon, proprietaria di un negozio di alimentari a Isom, nel Kentucky.
Impresa e istruzione per ridare vita alle comunità fondate sul carbone
In molti centri minerari dell’Appalachia, si cerca di uscire da un’economia mono-settoriale stimolando la nascita di nuove imprese e puntando a ridare vigore all’economia rurale locale, per trasformarla in qualcosa di multiforme e resistente. Si punterà molto anche sulla crescita dell’istruzione per le nuove generazioni, unica via per fare in modo che i più giovani possano avere gli strumenti necessari per affrontare le sfide dei nuovi mercati. Nella sola West Virginia ci si attende che entro il 2020 i posti di lavoro che richiederanno una formazione post-secondaria saranno il 52 per cento del totale quando oggi solo il 19 per cento della popolazione (e il 12 per cento in Kentucky) possiede una laurea o un titolo di istruzione superiore, superflui fino ad oggi in un mercato del lavoro dominato dal carbone che pagava relativamente bene e non pretendeva competenze specifiche.
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