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L’impiego del metano come fonte energetica e come biocarburante può contenere il riscaldamento globale?
In un periodo in cui i cambiamenti climatici sono diventati un tema forte sul quale si dibatte frequentemente, si moltiplicano le proposte di come sostituire i combustibili fossili con fonti energetiche alternative meno inquinanti. Sebbene siano da preferire sempre e comunque le fonti di energia rinnovabile, tra le “fossili” si possono mettere in atto alcuni distinguo. Ad esempio il gas naturale, che contiene metano (e per questo viene comunemente chiamato “gas metano”) di cui l’Italia fa largo uso. Il nostro paese infatti è il terzo importatore al mondo di gas, da cui dipende la produzione del 60 per cento del comparto energetico.
Il potere inquinante del gas naturale è minore rispetto a quello del carbone (meno di 1 miliardo di tonnellate di CO2 equivalente immesse annualmente nell’atmosfera contro le 15 miliardi di tonnellate del carbone). Nonostante la sua concentrazione in atmosfera sia cresciuta del 150 per cento rispetto ai livelli pre-industriali, il metano persiste meno nell’aria ed è quindi considerato una valida alternativa al petrolio proprio dal punto di vista delle emissioni.
Fino alla fine della seconda guerra mondiale il gas naturale non fu molto utilizzato. Le prime estrazioni su larga scala iniziarono alla fine degli anni Cinquanta quando gli Stati Uniti avevano cominciato a importarlo dal Canada alla ricerca di un’alternativa al petrolio. In Europa la sua estrazione si deve all’italiano Enrico Mattei, che scoprì un giacimento profondo di metano a Lodi, nel 1959. Da allora iniziarono perforazioni nell’Adriatico e ben presto si scoprì il potere energetico di questo gas.
Il gas naturale, o metano, si estrae di solito dagli stessi giacimenti del petrolio. Come il petrolio infatti il gas è il risultato delle trasformazioni subite da sostanze organiche del sottosuolo e l’attività di ricerca è unica sia per il petrolio che per il gas tanto che questo a volte si trova intrappolato insieme all’oro nero sotto lo stesso strato di roccia: quando si trivella, il gas “schizza” fuori e occorre intubarlo, indirizzandolo verso appositi centri di stoccaggio. Spesso il gas naturale non è puro ma “mischiato” insieme ad altri tipi di gas quali propano, butano ed etano. Tra le impurità contenute nella miscela la più pericolosa è sicuramente lo zolfo che bruciando produce anidride solforosa, responsabile delle piogge acide.
Il principale fornitore è la Russia, da cui proviene il 51 per cento del metano importato in Italia. Seguono la Libia, con il 13 per cento a pari merito con l’Algeria, i Paesi Bassi (8 per cento) e la Norvegia (5 per cento). La parte restante proviene da un insieme di altri paesi. Il gas naturale importato viene immesso nella rete nazionale attraverso sette metanodotti posizionati a Tarvisio, Gorizia, Passo Gries, Mazara del Vallo e Gela, oltre ai terminali di rigassificazione (per il gas importato in forma liquida) di Panigaglia e Cavarzere.
Il gas metano è distribuito in Italia attraverso due grandi reti: una rete “primaria” lunga 32.534 chilometri che garantisce la copertura dell’intero territorio nazionale, eccetto la Sardegna, portando il gas nei punti principali da cui si snoda una rete più capillare, detta “secondaria”, la quale assicura invece l’approvvigionamento a livello locale. Il 42 per cento del gas distribuito viene utilizzato per usi civili, il 24 per cento per usi industriali e il 30 per cento nelle centrali termoelettriche.
Negli ultimi anni si sono affacciate sul mercato diverse automobili alimentate a gas metano (in realtà si tratta di una miscela che contiene anche butano, propano e acido solfidrico). L’Italia è tra i paesi europei con il maggior numero di veicoli di questo tipo, il 2,5 per cento sul totale del comparto auto nazionale. Benché in molte regioni – tranne poche virtuose – manchi ancora il numero sufficiente di distributori dove rifornirsi, le intenzioni sono quelle di triplicare il numero di vetture a metano sulle strade italiane – da 900mila a 3 milioni – come sottoscritto a fine 2016 da FCA-Snam-Iveco e ministero dello Sviluppo economico.
Un’automobile a metano produce meno CO2 di un’auto a benzina, a diesel o a gpl, anche perché consuma meno. Per questo in regioni come in Trentino-Alto Adige diversi comuni hanno puntato sulla sostituzione dei “vecchi” bus a gasolio con nuove versioni a metano, come è il caso di Trento. Bolzano invece è stato il primo comune ad aver inaugurato un distributore a metano self-service. In generale la combustione del metano genera il 20 per cento in meno di CO2 rispetto alla benzina. È esente da particolato (pm10) e “black carbon” (pm2,5), piombo e idrocarburi policiclici aromatici, con concentrazioni di ossidi di azoto (NOx) inferiori del 72 per cento rispetto a una vettura a benzina e del 95 per cento rispetto a una a gasolio. In pratica, un’auto a metano è già molto oltre i limiti di emissione Euro 6.
C’è poi il metano estratto dagli scarti delle biomasse agricole, il cosiddetto biometano che ha enormi potenzialità nel campo dei biocarburburanti, come sostiene Rossella Muroni, presidente di Legambiente. Prima del biometano c’è il biogas che si ottiene dalla decomposizione di biomasse (o dai rifiuti organici) in ambiente controllato (all’interno di digestori o in discarica). In seguito a un processo detto di “purificazione”, attraverso il quale si estrae la CO2 dal biogas, si ottiene il biometano puro. Gli impianti in Italia sono complessivamente circa 1600 e 600 agricoltori sono affiliati al Consorzio italiano Biogas, producendo 5 miliardi di metri cubi di biogas l’anno.
Il biometano potrebbe addirittura essere usato come combustibile energetico se solo il governo lo volesse. Come spiega infatti Muroni: “da anni viene ritardata l’approvazione del decreto che consentirebbe a questo biocombustibile di essere immesso nella rete gas”. Così facendo il biometano potrebbe diventare un alleato nella lotta al cambiamento climatico: prodotto sia da sottoprodotti di origine agricola sia dalla frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata, il consumo del biometano avviene evitando di liberare il carbonio sequestrato nei giacimenti di combustibili fossili, quasi senza ulteriori emissioni climalteranti.
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