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Gianantonio Locatelli si racconta: cosa c’è dietro al Museo della merda
Una grande passione per l’arte contemporanea, l’idea di sublimare il letame come portatore di vita e di rinascita e infine l’idea di dedicargli un museo.
Agricoltore, allevatore, imprenditore e grande appassionato d’arte; un insieme di competenze che portano Gianantonio Locatelli, partendo dalla gestione quotidiana dei suoi bovini e dalla produzione dei loro escrementi, a creare un progetto ecologico e allo stesso tempo industriale. Non solo: dopo molti anni di lavoro e riflessioni intorno al tema e alle pratiche della trasformazione, insieme ad amici e artisti, avvia il processo che lo porterà in pochi anni a realizzare il Museo della merda.
Gianantonio Locatelli, classe 1956, dopo aver studiato giurisprudenza decide di continuare, come il padre, la professione di agricoltore, allevatore e produttore di formaggi. Alla fine degli anni Settanta partecipa a molti viaggi di lavoro negli Stati Uniti ed in Israele per approfondire la professione di allevatore di bovini; durante questo periodo visita spesso anche New York, dove si lascia travolgere dal movimento della pop art da cui rimarrà profondamente segnato. “L’arte mi ha accompagnato tutta la vita. Negli anni Settanta mentre ero negli Stati Uniti a imparare il mestiere, andavo molto spesso a New York; lì mi sono scontrato con il movimento artistico della pop art, caratterizzato da un fermento incredibile. Senza capire fino in fondo cosa stesse succedendo ne sono rimasto completamente affascinato. Io avevo già un’attitudine all’arte perché da bambino disegnavo ed ero creativo, così mentre ero lì a imparare il mestiere dell’agricoltura, allo stesso tempo mi stavo legando in maniera imprescindibile all’arte. Ero attirato da tutto quello che comportava”, racconta Locatelli.
Merda, dalla trasformazione alla rivoluzione
Molto legato al tema della sostenibilità, nei primi anni 2000 Locatelli si dedica alla trasformazione della grande quantità di scarto dell’allevamento, il letame. Il tutto nasce dall’esigenza di trovare un utilizzo all’ingente quantità di letame, 1.500 tonnellate al giorno, che i suoi bovini producevano presso Castelbosco. Il trattamento di questo scarto attraverso il biometano ha aperto un nuovo ciclo dell’agricoltura moderna, tant’è che oggi Locatelli ottiene energia elettrica verde, calore per il riscaldamento delle case, concime secco organico, mattoni ed intonaco grazie al letame dei suoi bovini.
La passione per l’arte contemporanea e l’idea di sublimare la merda come grande portatrice di vita e di rinascita spinge Locatelli nell’aprile 2015, in pieno periodo Expo (l’esposizione universale di Milano), alla fondazione del Museo della merda, insieme a Massimo Valsecchi, amico e collezionista con cui Locatelli da sempre parla di arte, Luca Cipelletti, architetto e Gaspare Marcone, co-curatore. Il museo costituisce un vero e proprio teatro di una serie di installazioni in continua evoluzione dedicate alla trasformazione, alla metamorfosi, all’abilità di trasmutare le sostanze naturali e ristabilire un rapporto migliore tra uomo e natura. L’idea di riutilizzo è sempre stata intrinseca al mondo agricolo, in questo caso il letame si trasforma in altro e produce innovazione; qui la merda è un materiale prezioso, su cui costruire informazione e intrattenimento culturale.
Il legame profondo tra il museo e l’arte
Negli spazi del museo e nelle sale del castello ricerca scientifica, tecnologia, arte e produzione coesistono per suscitare interesse a più livelli: è un istituto di ricerca, documenti e informazioni sugli escrementi nella cultura, nella tecnologia, nella scienza e nella storia.Esempi da citare sono per esempio la la Naturalis Historia di Plinio, da cui Locatelli trae alcune proposte curative date dall’uso dello sterco di vari animali per creare una vetrina di contenitori riempiti con elementi vegetali misti al “digestato” prodotto a Castelbosco, fino alle ricerche scientifiche più attuali e alla produzione artistica che tocca l’uso e riuso di scarti e di rifiuti.
La visita parte all’esterno nell’azienda agricola e qui, a supportare il valore del progetto, diversi interventi artistici come quello di David Tremlett e Anne e Patrick Poirier, stimolano riflessioni e esaltano la visione concettuale e metaforica alla base dell’azienda. Il piano terreno del castello ospita una parte del museo in cui vengono esposti materiali e installazioni che introducono concretamente all’utilizzo e al valore dello sterco – gli espositori, le tubature e i materiali da costruzione come l’intonaco e i mattoni. Centrali, anche per l’allestimento, i temi del riuso e della stratificazione: accanto allo sterco, costantemente riutilizzato ed inserito in un processo di vita ciclico che conferisce poeticità alla materia: dallo scarabeo stercorario, considerato divino dagli egizi e simbolo del museo, presente in tantissime specie e colori, all’utilizzo dello sterco per la costruzione di architetture nelle più lontane culture del pianeta, dalle antiche civiltà italiche all‘Africa fino alle ricerche scientifiche più attuali e alla produzione artistica che tocca l’uso e riuso di scarti e di rifiuti. Gli espositori in ferro, parzialmente rivestiti in sterco, si pongono in continuità con tutti gli interventi strutturali e diventano parte integrante dell’ambiente, una stratificazione materica e volumetrica che deriva e si nutre del suo contesto.
Dagli escrementi nascono innovazioni e nuovi materiali
Nell’aprile 2015 oltre al museo viene inaugurata l’invenzione e la registrazione, nel suo primo anno di vita, della ‘merdacotta’, materiale che sintetizza i principi di sostenibilità e trasmutazione alla base degli obiettivi scientifici del museo. Materiale in cui sono stati realizzati tutti i primi prodotti a marchio museo della merda: vasi, portafiori, mattonelle, piatti, tazze e molto altro. Forme semplici e pulite, il cui disegno azzera ogni frivolezza e intenzionalità per rimettersi a princìpi antichi. Dichiarando che la loro sostanza non è nella forma, ma nella materia di cui sono fatti. Oggetti che ridisegnano il ciclo della natura in un circolo virtuoso, rivelandosi elementi essenziali del vivere contemporaneo. I “prodotti primordiali” del Museo sono stati presentati per la prima volta durante il Salone del Mobile 2016, in una mostra che è valsa a Cipelletti e a Locatelli il primo premio del Milano Design Award. Nel museo fanno da cornice a questi prodotti una serie di video che combinano alcune sequenze cinematografiche a tema – come Il fantasma della libertà di Luis Buñuel a contributi che il giovane Henrik Blomqvist ha ripreso direttamente sul funzionamento dello stabilimento piacentino. Di nuovo: arte, natura, progetto, rifiuto, riuso.
L’influenza artistica
Insieme alla pop art un’altra grande ispirazione per Locatelli è stato il movimento artistico Fluxus, che, spiega lui stesso “ti abitua a fare un determinato esercizio mentale e ti porta soprattutto a considerare tutti i progetti, anche quelli più assurdi”. Gli artisti di Fluxus esprimono la casualità e la quotidianità delle cose: essi infatti non si basano sullo studio di oggetti privilegiati o sacri ma rappresentano l’arte attraverso un concetto ludico, abbandonando i valori estetici per concentrarsi su Humor e Non-sense. Tra i maggiori esponenti del movimento Daniel Spoerri, che troviamo all’interno del museo con la sua opera Resurrection un video d’artista della durata di sette minuti girato nel 1969 nel quale la storia di una bistecca viene rovesciata . É un lavoro che riflette sull’eterna circolarità della vita (e della morte) e che lo stesso Spoerri racconta così: “Comincia con un pezzo di merda che esce dall’uomo e poi si svolge tutto alla rovescia: l’uomo che mangia la carne, la compra, il macellaio la prepara, il bue al macello, il bue nel prato e il bue che defeca.
“Per me è stato fondamentale costruire una vita circondato dall’arte, che non vuol dire avere dei quadri attaccati al muro ma significa vivere e ragionare sempre con dei concetti, dei progetti, delle invenzioni. Trarre ispirazione dagli altri artisti e allo stesso tempo comunicare tramite l’arte è il mio modo di affrontare la vita. Mi è servito tantissimo, soprattutto a rendermi la vita interessante e piacevole; un antidoto contro la vecchiaia, ti senti giovane e proiettato su progetti, ricerche e studi, con una percezione sempre più raffinata della vita e delle cose”, prosegue Locatelli.
“Per me l’arte in generale è quella di vedere oggi quello che sarà domani. È un’anticipazione. L’artista è colui che ti mostra delle cose, ti fa notare nella vita di tutti i giorni dei particolari o dei concetti che non noti: è un po’ questo il mistero che viene svelato, ti permette di cogliere l’arte anche attraverso la vita quotidiana. Vedi oggi quello che sarà domani”.
Di grande ispirazione per Locatelli e presente con alcune sue opere nel museo è Gianfranco Baruchello: un artista molto versatile, che nel 1973 fonda la società Agricola Cornelia S.p.A. con lo scopo sociale di coltivare la terra e dedicarsi alla rivisitazione di riti e tradizioni agricole sulla base di una visione artistica. Nel museo sono presenti due opere Dans la meilleure langue française e Arbre alphabétique a cui Locatelli è molto legato: “Ho sempre trovato la storia di Baruchello parallela e molto vicina al mio percorso; lui aveva ricevuto questa azienda agricola dai suoi genitori e faceva delle esperienze artistiche legate al mondo dell’agricoltura. Ogni operazione diventava azione artistica come per esempio la raccolta del frumento, la mungitura delle vacche; mi ha sempre affascinato e ispirato per i miei lavori”.
Molti altri sono gli artisti presenti nel museo e diverse le correnti che hanno ispirato e tuttora ispirano Locatelli. Un processo in continua evoluzione e trasformazione, come appunto quello della merda. Grazie a Locatelli l’azienda agricola Castelbosco diventa un museo a tutti gli effetti, un museo che produce oggetti quotidiani e che raccoglie opere d’arte che snaturano il significato della merda valorizzandola.
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