A febbraio, in Irlanda, è stato introdotto un sistema di riciclo della plastica che ha permesso di raccogliere 630 milioni contenitori.
Le radici del movimento no global
Come
È la città di Jimi Hendrix, Paul Simon
e altre star della musica ‘star and stripes’. È la
città dei camion americani Kenworth, pesanti e fumosi, ma
anche delle più light e avanzate dot.com del pianeta. Nelle
sue strade sono nati gli stili della moda grunge e, il 30 novembre
1999, il movimento del “popolo di Seattle”.
A Seattle quel giorno del ’99 c’erano i lavori della Terza sessione
ministeriale del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. In
agenda, l’abbattimento delle barriere doganali per le merci
provenienti dai paesi ricchi e lo scavalcamento delle leggi
ambientali locali in forza dei princìpi del libero
commercio.
È esplosa la protesta di più di 700 organizzazioni e
di 60mila persone per le strade di Seattle, che hanno fisicamente
impedito lo svolgimento dei negoziati. È nato un movimento
di protesta civile internazionale composto da organizzazioni non
governative, associazioni per il Terzo Mondo, fondazioni culturali,
sindacati, sindacati, associazioni di consumatori e cittadini.
Uniti dal comune intento di contrastare la mondializzazione senza
regole, l’omologazione culturale che non riconosce la
dignità delle minoranze e dei popoli più deboli.
Principali obiettivi: maggiore democrazia economica, remissione del
debito dei paesi poveri, controlli sullo strapotere delle
multinazionali, opposizione al transgenico e alla depredazione
delle culture, delle ricchezze, delle tradizioni locali.
Ma come è nato questo movimento? Perché le strade di
Seattle e poi Washington, Chiang Mai in Thailandia, Philadelphia,
Praga, Melbourne e Goteborg e infine di Genova, durante il G8 per
il Genoa Social Forum il 20-22 luglio 2001, si sono colmate di
manifestanti, di pacifisti e black bloc, di volontari e di
contestatori, di ‘mani bianche’ e di pugni?
La Clinton Administration Agenda prevedeva, per quel round di
negoziati, alcune misure che avrebbero immediatamente nuociuto
all’ecosistema. Le radici ambientaliste della protesta sono
profonde, nel terreno di scontro tra associazioni verdi e lobby
multinazionali per gli Ogm e le politiche ambientali
internazionali, il vilipeso trattato sul clima di Kyoto.
Ma c’è di più. Per la strade di Seattle, a Genova
l’anno scorso, a Genova quest’anno, c’erano volontari per
l’abolizione della pena di morte che inneggiavano: “Mumia!” (M. Abu
Jamal, Wesley Cook, il giornalista nero delle black panther
condannato a morte in Usa). C’erano esuli iraniani che denunciavano
la violazione dei diritti civili in patria. C’era un esercito
multicolore di ragazzi i cui gesti sembrano essere di autodifesa.
Autodifesa da un’aggressione invadente. Silenziosa. Soffocante. E
che ha provocato, per autodifesa, uno spasmo, anche violento. Alla
ricerca di aria.
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