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L’amicizia tra uomo e cane? Questione di dna
Il segreto del legame con l’uomo è racchiuso nel dna del cane. Un legame che dura da più di settemila anni.
Cinque geni presenti nel dna del cane, cinque motivi che la scienza definisce essenziali per comprendere lo stretto rapporto che, da sempre, lo unisce all’uomo. Questo è il risultato di una ricerca dell’Università svedese di Linkoping, da poco pubblicato sulla rivista Scientific reports. Analizzando il dna di 190 cani di razza beagle i ricercatori svedesi hanno scoperto, infatti, cinque geni specifici che sono alla base del comportamento empatico del nostro amico a quattro zampe nei confronti dell’uomo.
Cosa dimostra l’esperimento
In uno degli esperimenti eseguiti, per esempio, i cani venivano messi di fronte a un compito che prevedeva di interagire con l’addestratore. Le bestiole dovevano far scivolare tre coperchi a terra di cui uno, bloccato, non poteva essere rimosso. Messi di fronte all’impossibilità di eseguire il compito, i quattro zampe prescelti si voltavano verso la persona che li seguiva, fissandola negli occhi e cercandone un contatto visivo ravvicinato. Osservando questa modalità, i ricercatori hanno evidenziato come gli animali cercassero un aiuto fattivo da parte della persona o un suggerimento vocale per poter risolvere il problema. Il genoma dei cani sottoposti a questi test è stato in seguito analizzato e i ricercatori hanno trovato in esso un marcatore genetico nel gene Sez6l. Questo gene è risultato associato al tempo che il cane trascorre nell’ambiente domestico e allo stretto contatto con le persone. Inoltre, altri marcatori nel gene Arvcf sono stati collegati alla ricerca e al piacere del contatto ravvicinato con l’essere umano. La relazione e il legame tra uomo e cane sono quindi stati codificati e dimostrati anche dal punto di vista genetico.
Nel dna del cane il segreto di un’amicizia che dura da migliaia di anni
Anche la ricerca archeologica dà conferma dell’intimo rapporto fra uomo e cane. Un dente di cane preistorico è stato ritrovato in una zona della Gran Bretagna dove erano già stati effettuati scavi archeologici. È stata una svolta importante, anche se prevedibile, nelle vicende legate alla comprensione dei rapporti intercorsi tra uomini e animali addomesticati. Il dente sembra corrispondere a un grosso cane, una sorta di cane lupo delle dimensioni e dell’aspetto di quello di un odierno pastore tedesco. Il cane preistorico morì (non si sa se per vecchiaia o per l’effetto di qualche ferita) a circa 350 chilometri dall’attuale cittadina di York, nel Regno Unito, nei pressi di un minuscolo insediamento umano dove si presume che il cane vivesse insieme al suo amico umano, molto probabilmente un cacciatore con cui l’animale andava a caccia.
Ricerche più complesse effettuate sempre sul dna dell’animale hanno permesso di scoprire che il cane aveva seguito una dieta a base di uro, un grosso mammifero selvatico ora estinto e considerato il progenitore della mucca domestica. Di uro gli uomini preistorici si nutrivano, dandogli la caccia con archi e frecce. Non da soli, certamente, come dimostra il reperto ritrovato.Infatti, il grosso cane simile al lupo aiutava a stanare e a braccare la preda, poi finita dai cacciatori e dalle loro armi. L’isotopo dello smalto contenuto nel dente ha rivelato un altro aspetto sorprendente.
La scoperta dopo più di settemila anni
Dopo più di settemila anni è stato in grado di evidenziare che il dente ritrovato non apparteneva a un cane locale, ma a un animale arrivato da molto lontano, probabilmente al seguito dei cacciatori che si erano spostati in cerca di prede e nuovi territori in cui insediarsi. Come ha spiegato al Times di Londra la professoressa Bryony Rogers, una delle ricercatrici che hanno studiato il reperto, il cane proveniva da un luogo molto distante da quello del ritrovamento. L’isotopo dell’ossigeno contenuto nello smalto del dente, infatti, è influenzato dalla latitudine, dalla temperatura e persino dal tasso di umidità e di pioggia rinvenuta nel terreno. Per il dente del cane preistorico questi valori non corrispondevano a quelli che avrebbero dovuto ritrovarsi in un dente di un animale nato e vissuto nei pressi del ritrovamento. Secondo i ricercatori inglesi, a questo punto, il reperto non solo dimostra l’amicizia e il rapporto di collaborazione vecchio di secoli fra l’uomo e il cane, ma evidenzia anche il lavoro quotidiano che uomini e cani svolgevano insieme. Da più di settemila anni, infatti, il legame di amore e fedeltà del cane nei nostri confronti rimane immutato, ed è testimoniato non solo da dipinti e graffiti, ma anche dai resti che i compagni a quattro zampe hanno lasciato in quelli che erano gli accampamenti e gli insediamenti dell’uomo primitivo.
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