In Europa la transizione energetica è vicina, grazie a un mix di eolico e solare, ma infrastrutture e burocrazia rischiano di rallentarla
Deepwater Horizon: 160.000 litri di petrolio in mare al giorno
Deepwater Horizon: sempre più reale il rischio di una catastrofe ambientale. Il livello di emergenza è altissimo nel Golfo del Messico
La piattaforma petrolifera Deepwater Horizon
Situata a circa 80 chilometri dalla costa della Louisiana, la Deepwater Horizon estraeva 8.000 barili al giorno al momento dell’incidente. E’ esplosa il 20 aprile 2010 ed è affondata il 22 aprile 2010. Un tubo di trivellazione connesso alla struttura sarebbe la causa della fuoriuscita del petrolio nell’oceano. Dopo un incendio, e con i soccorsi resi difficoltosi da onde alte due metri e mezzo, è affondata, continuando a causare il riversamento di mille barili di petrolio al giorno nell’oceano. Il sistema di blocco automatico, che avrebbe dovuto arrestare il flusso in caso di incidente, non ha funzionato.
La chiazza nera di petrolio
I voli di ricognizione della Guardia Costiera Usa rilevavano già il giorno dopo l’incidente una macchia di 30 km quadrati a circa 60 km dalle coste. Ma la marea nera continua ad allargarsi e minaccia le coste della Louisiana. La compagnia petrolifera BP, responsabile della piattaforma Deepwater Horizon, ha inviato 32 navi nell’area per riprendere le operazioni di monitoraggio e pulitura interrotte a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Secondo BP la perdita viene da due buchi a cinquemila metri di profondità sull’impianto di risalita che collega la bocca del pozzo alla piattaforma affondata giovedì. La Guardia Costiera parla di “una fuoriuscita molto seria”.
Le misure di contenimento
Insieme con le 32 navi inviate da BP, sul posto è in azione anche un robot sottomarino, operativo tra le 24 e le 36 ore. L’operazione è però molto complessa e, nonostante la mobilitazione, gli esiti sono incerti. Pare che BP stia predisponendo anche squadre di intervento a terra. Un’apparecchiatura sistemata sull’imboccatura del pozzo per contenere le perdite si è rivelata inefficace. “Non è stato mai fatto prima ma abbiamo al lavoro gli esperti più preparati” ha dichiarato in una conferenza stampa il capo operazioni Doug Suttles. “Quello che la compagnia sta cercando di fare – ha sintetizzato l’ingegnere meccanico Richard Metcalf – è mettere un tappo di sughero a una bottiglia di champagne”. Ci vorranno dai due ai tre mesi per fermare la fuoriuscita.
Il personale della piattaforma Deepwater Horizon
Al momento dell’incidente sulla Deepwater Horizon erano presenti 126 persone, 17 sono rimaste ferite. Si sono definitivamente concluse il 26 aprile (con esito negativo) le ricerche delle 11 persone disperse dopo l’esplosione seguita da un colossale incendio, riferisce la Cnn.
Danni alla natura
Il petrolio in queste condizioni si emulsiona con l’acqua e le operazioni di recupero sono difficoltose. In questo periodo, inoltre, nel Golfo del Messico è in corso la stagione riproduttiva del tonno rosso e sta cominciando quella di quattro specie di tartarughe marine. Nell’area sono presenti sei specie di balene e la fascia costiera ospita circa oltre due milioni di ettari di paludi
Già nel 1979, una piattaforma per esplorazioni petrolifere della compagnia messicana Ixtoc I era esplosa nel Golfo del Messico causando il più grave sversamento di petrolio in mare (mezzo milione di tonnellate di petrolio) e ci vollero oltre nove mesi per chiudere il pozzo esploso. Il Messico rifiutò di pagare indennizzi agli Usa. Si dovettero evacuare migliaia di piccole tartarughe di Kemp (specie in via di estinzione) nate sulla spiaggia di Rancho Nuevo per salvarle.
Solo tra qualche mese, quando la conduttura sarà chiusa, si saprà quanto petrolio sarà stato sversato nel Golfo del Messico: potrebbe essere un disastro superiore anche a quello della Haven.
La classifica degli sversamenti di idrocarburi in mare
Dopo l’incidente della piattaforma Ixtoc I tra il 1979 e il 1980 in Messico, il più grave della storia, si ricorda quello di Nowruz nel Golfo Persico 1983 e dell’Abt Summer in Angola (1991). Tra le petroliere, il disastro peggiore furono le 200.000 tonnellate di greggio perse nel 1978 in Bretagna dalla “Amoco Cadiz”, che ha sconvolto il mondo e dato il via alla legislazione ambientale internazionale per prevenire le maree nere. Seguono, tra i molti altri, i disastri:
- La petroliera con bandiera cipriota “Haven” affondata nel 1991 al largo di Genova segna ancora il record degli sversamenti del Mediterraneo.
- “Exxon Valdez” nel 1998 in Alaska, uno dei disastri peggiori di tutti i tempi e addirittura tre volte superiore a quello della “Erika”
- La “Erika” nel 1999 riversò davanti alle coste bretoni circa 20 mila tonnellate di greggio.
- La “Jessica” nel 2001 riversò 200.000 tonnellate di greggio. Fece scalpore perché lambì le isole Galapagos, ecosistema unico al mondo, patrimonio della biodiversità e culla delle ricerche di Darwin.
- La “Prestige” nel 2002, al largo delle coste della Galizia, con il tipo peggiore di inquinante con cui avere a che fare, denso, pesante, persistente e appiccicoso che non può essere disperso neppure dal mare grosso.
L’Italia è tra le aree di mare a maggior rischio
Nella classifica delle zone più pericolose per i traffici di petrolio l’Italia gode d’una poco invidiabile posizione di primato: conta il maggior traffico all’ interno del Mediterraneo che a sua volta guida la classifica mondiale. In uno specchio d’acqua che non arriva all’uno per cento del totale si concentra il 28% del traffico mondiale di petrolio (350 milioni di tonnellate di greggio l’anno, circa un quarto del totale del petrolio esportato a livello globale): 300 petroliere che rilasciano complessivamente una scia nera di 2.800 tonnellate di petrolio al giorno, equivalenti a 15 “Prestige” l’anno (la petroliera naufragata al largo della Galizia nel 2002).
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