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Stefano Boeri. La casa del futuro, una relazione armonica tra esterno e interno
Architetto, urbanista, già direttore di Domus e di Abitare, Stefano Boeri ha fatto parte della Consulta degli architetti dell’Expo 2015. È autore del Bosco Verticale di Milano, eletto miglior grattacielo del mondo e d’Europa nel 2015 dal Ctbuh (Council on tall buildings and urban habitat). Personalità di spicco dell’architettura contemporanea, sviluppa nei suoi progetti visioni di nuovi
Architetto, urbanista, già direttore di Domus e di Abitare, Stefano Boeri ha fatto parte della Consulta degli architetti dell’Expo 2015. È autore del Bosco Verticale di Milano, eletto miglior grattacielo del mondo e d’Europa nel 2015 dal Ctbuh (Council on tall buildings and urban habitat). Personalità di spicco dell’architettura contemporanea, sviluppa nei suoi progetti visioni di nuovi modi di abitare, delle nuove città, dei materiali, degli spazi e dell’urgenza delle nuove scelte sostenibili. Da membro del New Narrative for Europe, ha suggerito l’idea portante che l’Europa vada considerata come una megacity interconnessa da mezzi di trasporto e di comunicazione.
Innovazione e sostenibilità sono temi ricorrenti nei tuoi progetti di architettura. Il Bosco Verticale, oltre a essere stato nominato il grattacielo più bello del mondo, ha aperto un filone innovativo nel campo degli edifici residenziali. Pensi che sia un modello residenziale trasformabile su larga scala per un’architettura sostenibile diffusa e a costi contenuti o rimanga confinata nel campo dell’architettura d’avanguardia a costi molto alti?
Certamente in parte è manifesto di un potenziale che l’architettura sostenibile ha, ma ti posso dire che in Cina e in altre parti del mondo stiamo progettando edifici che hanno arbusti e alberi sulle facciate con funzioni e target di utenze molto diverse da Milano, si tratta di case popolari, edifici per uffici, alberghi, musei, scuole. Io credo che sia assolutamente possibile immaginare, come stiamo facendo in Cina, una vera e propria “città foresta” tutta fatta di edifici alti e bassi dove gli alberi non hanno una presenza ornamentale, ma strutturale costitutiva con il verde fatto soprattutto di alberi sulle facciate.
Sostenibilità e rispetto per l’ambiente sono valori che si stanno progressivamente diffondendo in Italia in generale e nel campo dell’architettura e del design diventano dei prerequisiti di ogni progetto. È una tendenza davvero diffusa tra i progettisti come un pre-requisito di ogni progetto o siamo solo all’inizio di un percorso di presa di coscienza?
Sostenibilità è anche un tema molto generico che è stato applicato a cose molto diverse. Certo è che nel mondo dell’arredamento il tema della sostenibilità inteso come tracciabilità dei materiali, non uso di collanti chimici potenzialmente inquinanti, processi di lavoro basati su alcuni principi etici, tutto questo non è diventato una prassi o un elemento davvero condiviso. La verità è che la sostenibilità da sola per come l’abbiamo intesa in passato forse non basta più. Non basta più riempire un edificio di fotovoltaico, di geotermia, se poi non ci preoccupiamo di rivedere la qualità dell’aria, la quota di CO2 – e quindi il tema è anche quello di aggiungere un’importante quota di alberi – o se non ci preoccupiamo di un altro aspetto che a me sembra molto importante: che nelle città dobbiamo trovare spazi di vita anche per le altre specie. Per dirla in breve: la sostenibilità senza una riflessione sulla questione della demineralizzazione, cioè avere delle città con meno minerali e più verdi, e all’aspetto della biodiversità, non è più sufficiente da sola a dare legittimità al progetto che si occupa dell’utilità sociale.
Dalle analisi sui desideri e le esigenze delle persone relative alla propria abitazione emerge come primario l’aspetto di portare il verde e la natura all’interno della casa, aumentare la relazione con la natura. Quali sono per te le qualità di un progetto d’interni che possono rendere la casa accogliente, confortevole e anche sostenibile?
A me non interessa quasi nulla del tema del verde come fatto ornamentale, il verde per me, come ho dimostrato nelle mie architetture, è un elemento fondamentale capace di migliorare le qualità e le condizioni di vita. Sugli interni stiamo lavorando con Stefano Mancuso che dirige il dipartimento di Neurobiologia vegetale all’Università di Firenze e che lavora da anni sull’intelligenza delle piante, sull’idea di alcuni elementi di arredo che puliscano utilizzando la capacità delle piante di assorbire CO2 e produrre ossigeno per pulire l’inquinamento degli interni. Eliminare l’inquinamento degli interni è una delle grandi sfide dei prossimi anni. In Europa non siamo oggi ancora così consapevoli di questo tema, ma se si guardano con attenzione gli studi fatti sulla qualità dell’aria degli interni ci si rende conto che quasi sempre le condizioni degli spazi interni sono peggiori di quelle degli spazi esterni anche nelle città più inquinate. In Cina questo è un tema molto sentito, su cui stiamo lavorando.
Questo è un pezzo della questione degli interni. Sono molto cambiate in questi anni le condizioni di abitabilità, di vita, di condivisione degli spazi domestici: al Salone del Mobile abbiamo presentato il ‘Mettitutto’, una specie di elemento di arredo che noi proponiamo di mettere all’ingresso degli appartamenti, una sorta di ‘soglia’ tra l’esterno e l’interno della casa. Da un lato recuperiamo una tradizione italiana, quella della cucina, perché il ‘Mettitutto’ è una specie di credenza ampliata; dall’altro, posizionarla all’esterno, all’ingresso della casa, è un modo per raccontare anche che le traiettorie di vita di chi coabita sono molto diverse e spesso diversificate. Questo è uno spazio in cui quando torni a casa depositi cellulare, cavi, chiavi, occhiali, biglietti da visita, riviste, il casco, i guanti, la moltitudine di oggetti che ci accompagnano nelle nostre traiettorie pubbliche esterne e poi quando esci recuperi questa moltitudine di oggetti. Questo oggetto racconta molto bene le storie di chi coabita perché oggi il tema è proprio quello della coabitazione tra figure a volte molto diverse che abitano la stessa casa. La sofisticazione tecnica nell’accostamento dei materiali che l’azienda che lo produce è in grado di fare è stata per me un’esperienza molto bella e divertente.
I progetti per le mostre della settimana del design milanese sono spesso delle occasioni dimostrative d’idee sul tema della città e dell’abitare. Cosa hai realizzato quest’anno per la mostra “White in the city”?
L’intervento alla mostra White in the City nasce dal progetto ‘Radura’ realizzato lo scorso anno per la mostra della rivista Interni e ora collocato sulla piazza della mensa scolastica di Amatrice. Il tema è un po’ lo stesso: trovare degli spazi pubblici, dei luoghi, dei momenti, dei recinti nei quali sia possibile isolarsi ma non escludersi dalla frenesia dei rumori, dei suoni, dei passaggi, dei flussi e delle comunicazioni. Abbiamo immaginato un recinto fatto con dei cilindri di legno dei boschi friulani di piccolo diametro, dove l’ispirazione e anche il suggerimento è quello di pensare a uno spazio pubblico dove ci si abbraccia! Un luogo in cui uno entra e ha un momento di intimità assoluta. L’abbiamo chiamato ‘Urban hugs’.
Come ti poni nei confronti del tema dei devices tecnologici per la casa e argomenti come la domotica, l’automazione nella casa, internet of things? Miglioreranno secondo te il modo di vivere la casa nel prossimo futuro?
Mi interessano pochissimo! Mi spiego meglio: io sono una specie di amante ossessivo di tutto quello che è tecnologico e infatti sono pieno di dispositivi di ogni genere e tipo. Di per sé, però, mi sembra un argomento di scarsissimo interesse per chi fa il nostro mestiere: bene che gli oggetti siano interconnessi, usiamoli! Ma il problema vero è di creare gli spazi per gli oggetti… per questo mi interessa il ‘Metti tutto’! Poi è chiaro che se lì ci sono degli oggetti che hanno interconnessioni con la cucina, con la televisione ecc, va benissimo. Mi piace usarli: ad esempio la televisione connessa con il cellulare, il cellulare connesso con le casse per sentire la musica che viene mandata in rete mi divertono moltissimo, però credo veramente che ci sia una sorta di ridicola ossessione dell’idea di spazialità legata alla tecnologia. Semplicemente rende più comoda la vita quotidiana, accelera certi processi, ma non mi interessa come tema progettuale.
Com’è la tua casa?
La mia casa è un caos abbastanza irrecuperabile oramai! È legata allo studio e un po’ risente di questo flusso in entrata e in uscita di pezzi di vita privata nello studio e pubblici nella casa e quindi non saprei neanche come definirla. Però direi che in fondo è positiva questa mancanza di un ordine stabile.
È comunque un luogo dove tu vivi bene?
Sì, benissimo, sono felice.
Esiste una casa ideale nei tuoi sogni di architetto o è quella che hai?
Penso che la casa ideale sia nel rapporto tra esterno e interno. L’interno si riesce a costruirlo o in qualche modo a rappresentarlo con una certa facilità. Più difficile è trovare lo spazio collocato, localizzato in un contesto in cui il rapporto con l’esterno funziona. Però, in fondo, ognuno il proprio sogno domestico se lo porta in giro dovunque. A me piacerebbe molto avere una casa sul mare dove poter vivere e lavorare sempre. Questo è un sogno che prima o poi realizzerò, ma che ora non ho. La casa costruita da mia madre, Cini Boeri, nell’isola de La Maddalena è la mia casa ideale: quello è il posto dove vado spesso e dove sto meglio in assoluto.
Immagine in evidenza: la casa Bunker all’isola La Maddalena, progettata nel 1967 da Cini Boeri ©Paolo Rosselli
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