Per la presidente di Federbio Mammuccini, alcuni disagi degli agricoltori sono oggettivi e comprensibili, ma le proteste contro il Green deal sono inammissibili.
La storia di Tom Dean, fondatore di portaNatura
Con la collaborazione di Chiara Boracchi Tom Dean, il fondatore di portaNatura, è di Londra. Sua moglie Caterina Rossi Cairo, di Milano. Entrambi abituati a una dimensione urbana, al traffico, al cemento, si catapultano nel verde e cambiano radicalmente vita nel 2003, quando approdano a La Raia, azienda agricola di famiglia che trasformano in biodinamica
Con la collaborazione di Chiara Boracchi
Tom Dean, il fondatore di portaNatura, è di Londra. Sua moglie Caterina Rossi Cairo, di Milano. Entrambi abituati a una dimensione urbana, al traffico, al cemento, si catapultano nel verde e cambiano radicalmente vita nel 2003, quando approdano a La Raia, azienda agricola di famiglia che trasformano in biodinamica tra le colline del Gavi, nel basso Piemonte.
È proprio qui che, tra vigne e orti, nasce l’idea di portaNatura, il servizio di consegna a domicilio che permette di gustare, senza fatica, prodotti bio e di stagione coltivati o realizzati secondo i principi della moderna agricoltura biodinamica. L’avventura di Tom è così interessante che abbiamo voluto farcela raccontare.
Come sei passato dalla fotografia alla campagna?
In vacanza in Grecia ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie, Caterina. Quando ci siamo messi insieme abbiamo sentito subito la necessità di vivere in una dimensione più naturale di quella cittadina, per costruire una famiglia, e così ci siamo trasferiti a La Raia. Si è trattato di una vera scelta di vita per tutti noi, per investire sul futuro dei nostri quattro figli soprattutto. Io lavoravo in uno studio fotografico a Londra, mia moglie è di Milano: eravamo entrambi abituati ai ritmi della città. Grazie al confronto con la campagna, oggi sappiamo anche quanto sia difficile il lavoro del contadino. Queste due polarità, cioè quella della città e quella della campagna, ci accompagnano quotidianamente, anzi, si sono fuse assieme.
Come avete imparato a coltivare?
Per imparare abbiamo bussato a tante porte di contadini, chiesto tanti consigli. Abbiamo anche lavorato come volontari in altre aziende agricole. E poi noi eravamo già appassionati dei temi del bio: per esempio, sia io che Caterina eravamo già interessati da tempo alla biodinamica, al lavoro di Rudolf Steiner e all’Antroposofia. Ci piace quel modo di guardare il mondo e, attraverso la scuola steineriana che abbiamo creato nell’azienda agricola e in cui lavora mia moglie, cerchiamo di coinvolgere le persone per fare davvero agri-cultura.
Vi siete sempre occupati di biodinamico?
No, quando siamo arrivati noi, La Raia era un’azienda agricola convenzionale: la nostra passione per l’agricoltura biologica ci ha fatto intraprendere il percorso di conversione prima al metodo biologico e poi biodinamico. All’inizio non sapevamo a che tipi di problemi saremmo andati incontro. I primi anni sono stati più facili, dopo il terzo abbiamo dovuto affrontare qualche sfida. Abbiamo visto come funziona il mercato convenzionale, quanto il lavoro dei contadini dipenda dai prezzi fissati a livello internazionale. E poi abbiamo capito che non è motivante vedere il proprio prodotto portato via col rimorchio e mischiato con il resto, abbiamo pensato di dover fare qualcosa. Da qui la nostra conversione al biologico e al biodinamico. Dopo 5 anni l’azienda ha ottenuto la certificazione Demeter e abbiamo anche implementato una cantina di vini. E nel 2009 è arrivato il servizio portaNatura.
Ma i contadini della zona di Gavi come hanno preso la vostra decisione? L’hanno considerata folkloristica o hanno ritrovato pratiche che facevano i loro nonni?
Un po’ entrambe le cose, alcuni ci hanno detto che eravamo pazzi e avremmo perso tutto il raccolto, e altri invece, come Stefano Belotti della Cascina degli Ulivi, ci hanno dato un grande supporto perché già avevano un’azienda biodinamica funzionante e ci hanno dimostrato che si poteva fare. La Raia ha un territorio di oltre 100 ettari: con la nostra esperienza abbiamo dimostrato che si può fare biologico di qualità anche in grande quantità. Dopo di noi, altre 4 aziende agricole vicine si sono convertite al biologico.
Quali sono i vostri prodotti?
Oggi realizziamo soprattutto vino, coltiviamo cereali (principalmente farro), ortaggi e manteniamo l’allevamento delle mucche, che sono fondamentali nel contesto dell’agricoltura biodinamica.
Come ti è venuta esattamente l’idea di Porta Natura?
Il progetto nasce nel 2009 con l’intento di collegare chi vive in città coi contadini locali, che fanno agricoltura biologica e biodinamica. L’idea di fare rete mi era rimasta dalla mia “vita precedente” londinese. A Milano abbiamo conosciuto persone che volevano acquistare questo tipo di prodotti e che facevano ogni settimana molti chilometri per andarseli a comprare. Abbiamo pensato di dover fare qualcosa, di dover facilitare queste persone e rendere il sistema più efficiente. Noi stessi abbiamo vissuto quanto è difficile vendere questi prodotti ai piccoli mercatini locali del sabato. Spesso tornavamo a casa con parte del raccolto, non era un sistema efficiente. Parlando con un nostro cliente in Inghilterra, che compra il nostro vino, abbiamo scoperto che realizzava per i propri clienti delle cassette in abbonamento. Ci è piaciuta l’idea, abbiamo pensato di proporre un sistema simile, visto che in Italia non c’era.
E come va l’attività?
Ogni anno abbiamo nuovi clienti e nuove forniture. Ci sono anche tanti giovani, che iniziano a lavorare con noi. Le aziende agricole con cui collaboriamo sono principalmente piemontesi (di Asti, di Cuneo) ma anche di altre regioni, come la vicina Lombardia o come la Puglia o la Sicilia per i prodotti invernali. Il sistema ci permette di pagare in anticipo, così i contadini possono coltivare anche in modo più efficiente. Tutti i prodotti sono rigorosamente di stagione, cosa apprezzatissima dai nostri clienti. Ci facciamo conoscere praticamente solo grazie al passaparola: abbiamo scelto di non investire in pubblicità, ma sulla qualità dei prodotti e del servizio. I clienti aumentano se lavoriamo bene e i prodotti sono buoni.
Quali città servite e come funziona il servizio?
Serviamo Torino, Genova e Milano e dintorni principalmente, ma anche Novi e Alessandria.
Tutto parte dal sito: i clienti prenotano il proprio ordine, che viene trasmesso ai produttori. La raccolta è sempre fresca, stagionale, e non c’è magazzino. Le nostre proposte sono un Minibox, che va bene per un single. E poi ci sono i box piccolo, medio e grande, calibrati a seconda del numero di componenti della famiglia.
Cosa ti stupisce e incuriosisce di più del modo di mangiare degli italiani? Dal tuo osservatorio privilegiato, ti sarai fatto un’idea…
Per esempio ho notato che i nomi degli ortaggi sono diversi a seconda delle zone. E poi mi incuriosisce vedere che le città hanno abitudini totalmente diverse, le varietà richieste di uno stesso ortaggio non sono le stesse: a Genova sono abituati alle zucchine chiare, mentre a Milano… alle zucchine scure!
Che cosa ti piace del rapporto con la campagna degli italiani?
Mi piace che molte delle vostre famiglie siano ancora “vicine” al mondo contadino, perché magari hanno i nonni che lavoravano in campagna. Si tratta di una relazione che fa ancora parte della vostra cultura, forse perché il boom industriale è avvenuto nel dopoguerra. E poi mi piace che voi in Italia “dipendiate” dalla vostra bocca: avete una grande capacità non solo di parlare, ma anche di degustare. La vostra conoscenza passa attraverso la bocca, mi piace.
E a proposito di degustazione e di cibo, se l’alimentazione fosse un concerto, nella tua famiglia chi sarebbe il direttore d’orchestra?
Mia figlia Arianna! Ha solo 11 anni, ma ha già ha un gran talento nel cucinare. A volte ci svegliamo la domenica mattina e ci fa trovare la tavola imbandita, con i pancakes e il resto della colazione.
Qual è il tuo piatto preferito in Italia e quello inglese?
Per voi saranno risposte banali: mi piace mangiare una bella insalata, con tante verdure del mio orto, seguita da una pizza. E dell’Inghilterra mi manca una cosa che qui in Italia non si trova: Fish and chips!
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