Come trasformare il viaggio in un’esperienza di benessere mentale. Il caso della Toscana, un’oasi benefica per mente, corpo e spirito
Il turismo sostenibile, retorica e pratiche: l’introduzione
Il discorso sulla sostenibilità e sullo sviluppo sostenibile ha radici che possiamo definire vecchie di decenni, a iniziare dagli anni Settanta del Novecento, partendo dal 1972, data della prima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite indetta a Stoccolma sul rapporto fra ambiente e sviluppo, fino ad arrivare agli anni Novanta, quando con la Conferenza di Rio
Il discorso sulla sostenibilità e sullo sviluppo sostenibile ha radici che possiamo definire vecchie di decenni, a iniziare dagli anni Settanta del Novecento, partendo dal 1972, data della prima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite indetta a Stoccolma sul rapporto fra ambiente e sviluppo, fino ad arrivare agli anni Novanta, quando con la Conferenza di Rio de Janeiro si affrontarono alcuni temi importanti e ancora d’attualità come l’abuso di combustibile fossile ritenuto responsabile del cambiamento climatico globale, la possibilità di produrre energia tramite fonti rinnovabili, la crescente scarsità di acqua, le emissioni dei veicoli, la congestione nelle grandi città e i problemi di salute causati dallo smog.
Un importante risultato di quella conferenza fu proprio l’accordo sulla convenzione quadro sui cambiamenti climatici che a sua volta portò, alcuni anni dopo, alla stesura del protocollo di Kyoto (Cfr. IPCC Protocol, COP 3 – 1997).
Parallelamente al discorso sullo sviluppo sostenibile, si è intensificato anche quello sul turismo sostenibile.
Come disposto nell’Agenda 21, all’interno del settore dei viaggi, il turismo sostenibile si fonda su tre importanti pilastri:
- la sostenibilità socio-culturale
- la sostenibilità ambientale
- la sostenibilità economica.
Questi tre concetti, se integrati tra loro, rappresentano la soluzione a quelle tipologie di turismo che simboleggiano i grandi impatti negativi che il turismo tradizionale ha sull’ambiente.
Successivamente, altri importanti passi avanti vennero fatti nel mondo del turismo; ad iniziare dal 1995 dove a Lanzarote venne sancita la Carta sul turismo sostenibile, lì vennero specificati i principi base dello sviluppo sostenibile con priorità ed obiettivi che migliorarono la definizione del Rapporto Brundtland (Morandi, Niccolini, Marzo, Sargolini, Tola, 2010).
Oggi si parla di turismo sostenibile a tutti i livelli, in ambito accademico, fra gli operatori, e anche nel contesto di chi fa politiche per il turismo, in ragione della straordinaria crescita a livello planetario del numero di persone in movimento, che ha per la prima volta a cavallo del primo decennio del nuovo secolo superato il miliardo all’anno.
L’esigenza di fare “turismo sostenibile” è espressa in maniera chiara persino nei documenti di finali di Rio20, “The Future we want”. Molto meno chiaro tuttavia è il significato che nei diversi contesti viene attribuito a questo concetto.
La sostenibilità delle attività legate al turismo risulta infatti nella letteratura abbastanza difficile da definire (Murphy, 1994; Coccossis, Nijkamp, 1995; Swarbrooke, 1999) e lo stesso significato di turismo sostenibile, anche se all’apparenza sembra ovvio, in realtà nella sostanza è molto complesso. Talora, si tende infatti a parlare di turismo sostenibile per indicare le pratiche turistiche che si contrappongono al cosiddetto turismo di massa (turismo lento, dolce, responsabile, ecoturismo etc.).
In un’accezione più allargata e sostanzialmente più corretta, si parla invece di sostenibilità con riferimento all’intero settore turistico. Anche in questo caso, tuttavia, si tende a sottolineare come l’espressione possa essere utilizzata in modo differenziato, per parlare di sostenibilità economica, di sostenibilità ambientale, di sostenibilità sociale e culturale, o di sostenibilità turistica.
Nell’ultimo caso, sarebbero sostenibili le pratiche turistiche che non impediscono, o in ogni caso non inibiscano o alterino, le potenzialità turistiche future della destinazione.
In base a questa accezione, il turismo sostenibile non sarebbe un tipo di turismo, ma l’unico modo per fare turismo, senza distruggere le premesse naturali, culturali e sociali su cui si fonda la capacità attrattiva delle destinazioni.
La descrizione di turismo sostenibile secondo l’Organizzazione mondiale del turismo (Unwto)
Per avere un punto di riferimento chiaro è bene prendere come parametro di orientamento la descrizione con cui esprime tale concetto l’Organizzazione mondiale del turismo (Unwto): “Lo sviluppo del turismo sostenibile soddisfa i bisogni dei turisti e delle regioni ospitanti e allo stesso tempo protegge e migliora le opportunità per il futuro. Si tratta di una forma di sviluppo che dovrebbe portare alla gestione integrata delle risorse in modo che tutte le necessità, economiche, sociali ed estetiche possano essere soddisfatte mantenendo al tempo stesso l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica e le condizioni di base per la vita”.
Ciò prevede in sostanza l’attuazione di soluzioni gestionali e di sviluppo sostenibili che portano con sé il rispetto di principi base, quali il principio di precauzione, la necessità di soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere quelli delle generazioni future, il senso di responsabilità per la tutela dell’ambiente e delle risorse naturali per le generazioni attuali e future. Non bisogna poi dimenticare il rispetto per l’integrità culturale, e l’implementazione delle condizioni di base, ossia le dimensioni culturali e sociali della sostenibilità.
Al di là di questa semplice logica, il discorso sul turismo sostenibile tuttavia si confonde all’interno di diverse retoriche.
Innanzitutto, vi è una certa confusione, che porta a sovrapporre l’idea di sostenibilità con quella di natura, come se un turismo a base “naturalistica”, o una pratica turistica all’interno di un parco, fossero necessariamente sostenibili. Come si vede nel volume, in cui vengono presentati i dati della ricerca IPR-Univerde sugli italiani e il turismo sostenibile, infatti, se da un lato vi è una crescente consapevolezza nei confronti delle esigenze di gestire il turismo forma sostenibile, dall’altra vi è ancora una qualche incertezza in relazione alle pratiche di sostenibilità e al significato da attribuire all’idea stessa di sostenibilità.
Spesso non solo i cittadini ma gli stessi operatori sovrappongono il concetto con quello di ecoturismo o perfino con quello di “nature based tourism”(traducibile più o meno in turismo naturalistico o turismo-natura). È invece evidente che un turismo “nature based”, ossia basato sulla attrattività delle aree naturali e protette, può anche non essere sostenibile (basti pensare alla presenza invadente in aree sensibili o ambienti fragili: dove la passione soggettiva per la natura potrebbe tuttavia determinare danni anche irreversibili).
Un vero ecoturismo, se coerente con la dichiarazione di Quebec City, dovrebbe invece essere comunque sostenibile, anche se difficilmente potrà essere, come tutte le attività antropiche, a zero impatto.
Anche in questo caso, bisogna dunque andare al di là dell’apparenza e dell’ovvio.
Se non tutto il turismo alternativo è necessariamente sostenibile, anzi, anche se è difficile trovare forme di turismo che si presentino come realmente alternative (Rabbiosi e Pecorelli) non tutto il turismo di lusso è insostenibile. Come dimostra Marco Luppis nel suo capitolo del libro, è vero piuttosto il contrario. L’offerta di prodotti e destinazioni “esclusive” non solo consente di applicare forme di gestione turistica sostenibili, ma anche di sperimentare pratiche che poi potranno essere messe a frutto anche in contesti a più elevato impatto.
Tutte le attività turistiche possono, anzi devono essere pensate in termini di sostenibilità
Nel volume da me curato Turismo sostenibile. Retoriche e pratiche (Aracne, Roma 2016) viene ben chiarito, per esempio dal contributo di Jarkko Saarinen, che in realtà i diversi approcci alla sostenibilità del turismo non sono in contrasto fra di loro.
Nessun turismo infatti può essere sostenibile in senso turistico, se non innanzitutto sostenibile dal punto di vista ambientale (chi vorrà mai visitare un luogo degradato, un parco spoglio, una costa cementificata?), ma anche dal punto di vista sociale (povertà e sfruttamento non dovrebbero costituire fattori di attrazione turistica, come non dovrebbe esserlo la diseguaglianza di genere), e culturale ( anche il senso del luogo e la peculiarità delle tradizioni – locali o ibridate poco conta – costituiscono infatti un’irrinunciabile caratteristica delle diverse destinazioni).
Fondato sulla vendita di esperienze e vincolato alla qualità del luogo ove si sviluppa, il settore del turismo si basa essenzialmente sulla bellezza dei paesaggi, sui beni culturali, sui servizi e sulle attività commerciali e difficilmente si può ipotizzare che una destinazione mantenga una elevata qualità, e dunque un’attrattiva.
Quelle nelle aree più delicate e fragili devono rispondere a criteri ancora più stringenti. Per questo, è opportuno pensare a modalità di promozione che favoriscano, al di là del semplice marketing, la conoscenza del territorio, anche attraverso il web, come dimostra Mirko Etzi nel suo capitolo, anche se, come in tutte le azioni green, occorre saper distinguere le vere pratiche mirate a incrementare la sostenibilità da quelle azioni di greenwashing, che spesso si nascondono sotto facili azioni di marketing ed etichette che occhieggiano alla sensibilità “verde” del consumatore (Hall).
Perché il turismo rimanga una valida opportunità economica, dunque perché rimanga sostenibile in quanto pratica turistica, che non cancella le potenzialità attrattive delle destinazioni, il turismo deve essere sostenibile in tutti i sensi, ambientale, culturale e sociale, anche se fra le pratiche per la sostenibilità, si innescano modelli di governance diversi (Corinto).
Per questo, è necessario gestire in modo sostenibile le destinazioni, vedere le loro potenzialità, le loro tradizioni. Bisogna imparare a riconoscere le specificità del proprio contesto, riconoscere, se si opera in Italia, che l’Italia è un unico “museo diffuso”, come sottolinea Ottavia Ricci nel suo capitolo, che ogni parco italiano è fatto di natura e tradizioni, di modelli produttivi e insediativi diversi, di ‘borghi” e piccole città.
Bisogna imparare a guardare il proprio paesaggio e, tramite il paesaggio, il proprio territorio, che sarà così valorizzato e reso più bello anche agli occhi del visitatore che viene da fuori, agli occhi del “turista”, come suggerito da Elena dell’Agnese nel contributo sugli ecomusei.
Di fronte ad un fenomeno di cui si parla tanto ma in cui è scarsa la corrispondenza tra parole ed efficacia delle azioni, o, per meglio dire, tra retorica e pratiche, è scaturita l’esigenza di curare questo volume, dove, accanto ai capitoli più teorici cui si è già fatto cenno, sono presentati anche alcuni studi di casi che toccano il tema della sostenibilità (Bagnoli e Capurro, Moralli e Vietti) all’interno di pratiche diverse come il turismo religioso e il turismo interculturale.
Ringrazio, per la consulenza e l’appoggio che mi hanno fornito durante la realizzazione di questo lavoro, Elena dell’Agnese e Mirko Etzi.
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